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L’Irap dei piccoli

21/7/2016

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Analizziamo un caso piuttosto controverso in materia di Irap dei professionisti, quando sono privi di “autonoma organizzazione”.
La Corte di Cassazione a sezioni unite con la sentenza 9451/2016 del 10 maggio 2016 è intervenuta sul tema controverso dell’Irap dei professionisti, privi di “autonoma organizzazione”.
La Corte ha risolto tale spinosa vicenda in senso favorevole al contribuente, riconoscendo la mancanza del presupposto per alcuni soggetti privi di alcuni requisiti, che ora analizzeremo.
Al fine di comprendere appieno la sentenza e la sua portata, analizziamo il caso in specie.
La vicenda portata dinnanzi alle sezioni unite era un appello dell’Agenzia delle Entrate avverso la sentenza della CTR della Campania che riconosceva il rimborso Irap ad un avvocato dotato soltanto di beni strumentali minimi e di un solo dipendente con mansioni di segretario.
Il ricorso dell’Agenzia delle Entrate si fondava su alcune sentenze di legittimità preesistenti che ritenevano la presenza di lavoro altrui sufficiente per provare la sussistenza del presupposto dell’autonoma organizzazione.
Il giudice di merito aveva rilevato come non fosse in discussione la soggettività passiva dei lavoratori autonomi all’Irap, come infatti emerge dal Dlgs 446/97 che richiama espressamente tale categoria di soggetti, nonché dalla sentenza della Corte Costituzionale n 156/2011 che rigetta le doglianze di incostituzionalità relative a tale imposta, la quale ha come obiettivo quello di colpire un indice di capacità contributiva, ossia il valore aggiunto prodotto dal professionista.
Tuttavia ciò non significa che l’Irap deve essere applicata a tutti i lavoratori autonomi, bensì che semplicemente la regola generale è quella dell’assoggettamento, quella eccezionale l’esclusione per coloro che provano la mancanza di qualsiasi apparato produttivo.
La Corte afferma che è compito esclusivo del giudice di merito valutare se le prove portate dal contribuente sono sufficienti a dimostrare la mancanza del presupposto dell’autonoma organizzazione.
La sentenza in oggetto conferma l’esclusione dall’Irap per tutti i lavoratori autonomi privi di lavoratori dipendenti e collaboratori non occasionali, che utilizzano beni strumentali non oltre quello che la comune esperienza (art 115, primo comma c.p.c) ritiene indispensabili per l’esercizio dell’attività.
Ciò non significa assenza assoluta di qualsiasi supporto, ma neppure di prevalenza del lavoro altrui su quello proprio.
Nel caso in specie la Corte ritiene che la presenza di un unico dipendente che svolga soltanto lavori di segreteria non sia sufficiente a dare quel valore aggiunto tale da far rientrare il contribuente nell’alveo del tributo.
La soglia di riferimento esplicata dalla Corte è quella di un unico collaboratore/dipendente le cui mansioni non concorrano o si combinino con quelle che sono le specificità dell’attività svolta dal professionista.
Nel caso affrontato il collaboratore che svolge lavoro di segretariato non incrementa il valore aggiunto dell’attività del legale.
Al contrario un infermiere che ausili un cardiologo ad eseguire un esame specialistico, lo scrivente ritiene che contribuisca alla formazione del valore aggiunto del medico e, pertanto, realizzi il presupposto oggettivo del tributo.
L’incertezza che, come si evince, rimane anche dopo tale sentenza per coloro che impiegano un unico dipendente, richiamerebbe un intervento legislativo che quantifichi, possibilmente in maniera definitiva, il requisito dell’autonoma organizzazione. A tal proposito la Ctr aveva correttamente sottolineato come l’art. 2 del Dlgs Irap (446/97) richiede quale presupposto oggettivo del tributo l’“autonoma organizzazione” senza fissare alcun limite quantitativo, lasciato all’interpretazione caso per caso, con le conseguenze evidenti.
In quest’ultima sezione andrò a spiegare cosa potrebbe fare il lavoratore autonomo che sulla base di tale sentenza ritiene di aver diritto al rimborso dell’imposta pagata negli ultimi anni.
La normativa prevede che si possa chiedere il rimborso dell’imposta non dovuta entro 48 mesi dal versamento.
Si sottolinea che la decadenza decorre dalla data di pagamento e non da quella di presentazione della dichiarazione a cui è relativa.
L’istanza va presentata in carta semplice all’Ufficio delle entrate competente sulla base del domicilio fiscale del contribuente e possono verificarsi le seguenti tre ipotesi:
  1. la domanda viene accolta e l’Agenzia procede al rimborso;
  2. la domanda viene respinta dall’Ufficio delle entrate. In questo caso, il contribuente può presentare ricorso alla competente Commissione tributaria provinciale entro 60 giorni dalla notifica del provvedimento di rigetto.
  3. l’ufficio non risponde. In questo caso, la domanda è da considerarsi respinta, in quanto vige l’istituto del silenzio-rifiuto. Trascorsi almeno 90 giorni dalla presentazione della domanda ed entro il termine decennale di prescrizione l’interessato può ricorrere alla Commissione tributaria.
 
A cura di Paolo Ferraris
© Gente in Movimento - riproduzione riservata

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