Percorrendo la strada della panificazione a ritroso ci si accorge che il lievito naturale era spesso l’unico utilizzato, dai nostri nonni, e che poi è lentamente sparito. Perché? Sorge spontanea la domanda. In effetti un problema c’è, o almeno una caratteristica che è diventata tale nel nostro mondo frenetico: il tempo. La lievitazione con pasta madre è molto più lunga di quella industriale e con gli anni è stata soppiantata da lieviti più forti e veloci. Lo sviluppo dei microorganismi richiede infatti che essi si replichino, crescano e si nutrano della pasta stessa cambiandone profondamente le caratteristiche e facendola lievitare e inacidire. Ecco, se vogliamo trovare un altro difetto al palato è un’acidità cui non siamo più abituati, ma tutt’altro che segno di un pane rovinato. Gli lieviti infatti crescendo creano un’ambiente acido a loro favorevole e al tempo stesso sfavorevole ad altri tipi di organismi potenzialmente patogeni che vengono ostacolati. Senza contare poi il calore e le temperature della cottura che abbattono ogni carica microbica potenzialmente dannosa, per rispondere a chi sostiene che il lievito madre è potenzialmente pericoloso per i suoi microorganismi. Gli acidi maggiormente prodotti sono l’acido lattico e quello acetico che, insieme a quello etilico, concorrono alla formazione delle sostanze aromatiche che si sviluppano in cottura. Quindi ora sappiamo che la pasta madre è acida, ma quanto? Un pH (scala di valutazione di acidità che va da 0 a 14, con il riferimento neutro a 7) intorno a 4 sarebbe quello ritenuto perfetto per panificare.
Ma questi lieviti di che si nutrono? Fondamentalmente di carboidrati presenti nella farina e di zuccheri. Infatti un ottimo modo per accelerare lo sviluppo della pasta madre (o quello che viene chiamato anche starter) è l’aggiunta di zuccheri della frutta, di miele o yogurt. Quindi per provare a creare il proprio lievito madre non serve altro che: farina, acqua e volendo uno starter. Il prodotto si può conservare a temperatura ambiente con rinfreschi frequenti oppure in frigorifero, dove il freddo aiuterà a rallentare la fermentazione e necessiterà di un rinfresco ogni 7 giorni.
Esiste poi la possibilità di aggiungere farina senza acqua nei rinfreschi e rendere il composto in fase “polverizzata”, conservarlo in frigorifero per lunghi periodi per poterlo riattivare aggiungendo acqua una volta che si necessita di panificare. Notare che se l’impasto risulta troppo inacidito, grigio-verde, vischioso o presenta muffe va sostituito e l’operazione di produzione della pasta madre va ripetuta dall’inizio.
Essendo il lievito madre così vario, anche le ricette per panificare sono estremamente diverse le une dalle altre. Vale la regola dell’esperienza: sbagliando s’impara, aggiustando dosi, tempo e temperatura.
In generale il prodotto finito risulta più digeribile, vista la lunga azione di enzimi e attività lievito-batterica. Durante la lievitazione la composizione della pasta si altera interessando anche la digeribilità delle proteine e quindi di quel glutine (frazione proteica di molti cereali) che ultimamente fa tanto parlare di sé (vedasi celiachia in aumento e pseudo-intolleranze alimentari).
In ultima analisi le innumerevoli sensazioni che regala questo pane, fragranza, ma anche colore e doratura della crosta, sono più un punto di forza che una debolezza, una volta riscoperto un sapore più acidulo rispetto al pane lievitato con altre metodiche.
A cura di Stefano Arlotto