emergenti, nota come Internazionalizzazione, è avvertita oggi quale conditio sine qua non della loro stessa sopravvivenza, non una scelta meramente dettata dall’incremento dei profitti.
L’Italia presenta ancora oggi un quadro economico interno stagnante ed un ingente carico fiscale e tributario: fattori che, operanti su uno sfondo di estrema selettività dei mercati, rendono tale strategia non più procrastinabile.
Il Rapporto Export 2016/19 di SACE, Società del Gruppo Cassa Depositi e Prestiti, specializzata nel sostegno
alle imprese italiane, in particolare alle Piccole e Medie Imprese disponibili ad affacciarsi e crescere nel mercato globale, scinde appunto l’industria nazionale in medie e piccole aziende operanti in ambito internazionale (circa il 29%) e in un restante 71%, timoroso di cogliere questa grande opportunità di miglioramento.
In particolare, l’economia manifatturiera italiana, con questo prezioso patrimonio di piccole e medie attività, costituente il 99% del tessuto produttivo, vanta a livello internazionale una vasta offerta di prodotti di eccellenza non solo per qualità e contenuti in termini di immagine e di tenore di vita (the Italian way of life), ma anche in termini di elevata affidabilità.
Non dobbiamo dimenticare a tal proposito proprio la leadership conquistata negli ultimi venti anni nel campo scientifico, in particolare nei settori farmaceutico, medico e tecnologico.
Nonostante vi siano ancora numerose remore ad intraprendere tale percorso, il numero degli imprenditori disposti ad operare una mirata internazionalizzazione sul mercato è in costante crescita, benché sottodimensionato rispetto ai concorrenti dell’Eurozona.
A fungere da deterrente a questo necessario percorso di crescita concorrono numerosi aspetti tecnici.
Internazionalizzare la propria azienda presuppone un percorso multiculturale complesso connesso non solo all’apprendimento delle naturali disparità legate alla legislazione dei singoli interlocutori, ma anche a differenti regole di conduzione delle trattative, variabili da contesto a contesto. In un mondo imprenditoriale globale sempre più ampio, un’internazionalizzazione diffusa garantirebbe una diversificazione dei rischi, uno sfruttamento più razionale delle economie di scala e vantaggi fiscali rilevanti: chiavi di volta imprescindibili per la salute delle imprese nazionali.
Si tratta, dunque, di un percorso indubbiamente ostico, per taluni aspetti traumatico, decisamente impegnativo in termini di risorse impiegate: essere competitivi e proporsi all’estero presuppone, infatti, l’esigenza di sostenere ulteriori ed ingenti costi in termini di marketing e piani aziendali.
L’individuazione di una strategia promozionale, la carenza di risorse finanziarie, i costi per la raccolta delle informazioni, la riorganizzazione delle funzioni aziendali appaiono economicamente insostenibili senza un supporto adeguato delle Istituzioni.
Tuttavia, la possibilità di disporre di un patrimonio genetico e di un valore produttivo unici come quelli rappresentati dal “Made in Italy” e dalla produzione industriale ancora a carattere artigianale permettono sicuramente di conferire ai lavorati delle nostre imprese quella elevata competitività e quella personalità rispetto ai beni concorrenti, rendendo tale percorso di miglioramento più accessibile.
L’apertura internazionale è, quindi, il volano della crescita economica, poiché oggi il successo acquisito dall’imprenditoria italiana è indissolubilmente radicato nel settore legato all’export.
Il 2019 continua ad apparire positivo con un +2,9% verso i mercati UE e 1,2%, nell’area extra-UE; un aumento del 5,4% in India, USA, Africa sub-sahariana e Svizzera, Paese in cui siamo leader nella meccanica strumentale e farmaceutica.
Alle consuete relazioni con Australia e Asia, si aggiungono nuovi trend positivi: il Brasile con un 11,6%, l’India con un 15,5% , la Slovenia di cui siamo un indiscusso partner commerciale, il Marocco con un 10% e la Svezia con un incremento dell’8%.
Tale nostra egemonia imprenditoriale è dovuta alle attitudini ed alla dedizione degli imprenditori italiani, al rigore delle aziende, alle qualità dei prodotti che, seppur creati a ciclo industriale, sovente conservano un’artigianalità unica. Abbiamo un Softpower inimitabile, una ricchezza che esiste e si diffonde proprio grazie al capitale umano nazionale.
È stato calcolato come a fronte di un aumento delle esportazioni di quattro punti percentuali di beni v servizi corrisponda un punto percentuale in aumento del PIL.
Le nostre esportazioni tra gennaio e novembre del 2018 sono cresciute del 15%, dando una fondamentale spinta alla ripresa: si comprende come questo elemento detenga un ruolo centrale nella formazione della ricchezza del Paese e nello sviluppo dell’intero sistema economico.
Le Istituzioni sono da tempo chiamate a fornire risposte a queste esigenze: è loro compito supportare questi risultati, consentendo alle Aziende di dotarsi di figure gestionali qualificate, promuovendo così lo sviluppo di un nuovo modello di governance.
Non è più possibile indugiare, affidando l’intero Sistema-Italia alla buona volontà dei cittadini: si devono operare scelte adeguate, curando le giustificate esigenze della classe imprenditoriale, incentivando gli scambi, aprendosi ad un contesto economico internazionale che ci considera insostituibili garanti di qualità.
E’ essenziale comprendere come la competizione economica non investa solo i singoli attori economici, ma tutto il Sistema–Paese; non sia solo un vantaggio per pochi, ma per l’Italia tutta.
Senza lo sviluppo di questi elementi strategici, difficilmente si potrebbe sopravvivere ad un contesto economico tanto competitivo e selettivo: il Paese perderebbe l’occasione unica di lasciarsi definitivamente alle spalle la devastante crisi economica degli ultimi anni, proiettandosi verso un futuro di grandi successi.
A cura dell’On. Nicola Carè.