
Lo abbiamo compreso con chiarezza in queste ultime settimane: linguaggi e gesti violenti hanno sdoganato apertamente un clima fatto di razzismo, xenofobia, inaudita violenza verso le persone e le cose. Una regressione antropologica fondata sulla cultura del nemico, dell’odio, della mancanza di rispetto sembra aver ricondotto alle pulsioni più istintive e bestiali.
Perfino nel lungo periodo di lockdown e di emergenza sanitaria mondiale abbiamo dovuto registrare atti di vandalismo e aggressività ma, cosa ben più allarmante, anche numerosissimi casi di antisemitismo. Il ministro tedesco dell’Istruzione Anja Karliczek ha dovuto denunciare una “ostilità antiebraica inaccettabile e spaventosa”; in Germania sono spuntati adesivi che paragonavano gli ebrei al coronavirus; la rete è stata invasa da commenti antiebraici e da odio pregiudiziale.
Si tratta di episodi preoccupanti che non possiamo affatto liquidare come gesti di beoti, né derubricare a sciocchi fenomeni di imbecillità. Il ruolo della memoria nel contrasto agli odi, ai pregiudizi, alla violenza continua, pertanto, ad essere fondamentale.
Se è vero che l’1,3% degli italiani ritiene che la Shoah sia una leggenda e che il 10,5% giudica invece che durante la Shoah non siano morti 6 milioni di ebrei, allora significa che una questione di rimozione della memoria collettiva esiste ed è in allarmante espansione. Se a ciò aggiungiamo gli episodi crescenti di violenza e di vandalismo a sfondo antisemita nei confronti di monumenti e luoghi di ricordo della tragedia fascista, allora il quadro è tristemente completo.
Occorreva, dunque, rispondere con convinzione e far comprendere che nessuno aveva intenzione di abbassare la guardia, nemmeno in momenti così difficili. Nasce così l’idea di depositare una mozione di Aula a mia prima firma che mettesse in luce una delle esperienze culturali ed artistiche più virtuose sul ruolo e sulla funzione della memoria: il progetto denominato “Pietre d’inciampo” (Stolpersteine), ideato e realizzato dall’artista tedesco Gunter Demnig sul finire degli anni Novanta. Si tratta di un’iniziativa monumentale diffusa per ricordare le singole vittime della deportazione nei campi di concentramento e di sterminio nazisti.
La “pietra d’inciampo” è un piccolo blocco di pietra ricoperto di ottone lucente, su cui sono incisi il nome, l’anno la data di nascita, il luogo della deportazione e la data di morte del deportato, collocato in prossimità delle abitazioni in cui risiedettero i deportati prima della cattura. Oggi ne troviamo in diverse città italiane, e a tutti sarà probabilmente capitato di vederne qualcuna.
Attualmente se ne trovano infatti a Bolzano, Genova, L’Aquila, Livorno, Milano, Reggio Emilia, Siena, Torino,
Venezia, Napoli e in altri centri minori. Le prime furono posate a Roma nel 2010. Come enunciato dal sito pietredinciampo.eu, obiettivo è creare un inciampo emotivo e mentale, una sorta di inciampo della coscienza, mantenendo così viva la memoria delle vittime dell’ideologia nazi-fascista nel luogo simbolo della vita quotidiana, la casa, e invitando allo stesso tempo chi passa e si imbatte nell’opera a riflettere su quanto accaduto in quel luogo e in quella data.
Molte città hanno saputo cogliere l’occasione offerta dal progetto di Demnig per coinvolgere i giovani studenti attraverso percorsi didattici e multimediali di approfondimento in grado di rivitalizzare la memoria collettiva della tragica esperienza della deportazione e degli orrori della Shoah.
A Torino ad esempio, grazie alla sinergia tra il Museo diffuso della Resistenza, della deportazione, della guerra, dei diritti e della libertà, la Comunità ebraica di Torino, il Goethe-Institut Turin e l’Associazione nazionale ex deportati (Aned) e le istituzioni scolastiche, sono state sperimentate forme virtuose di collaborazione con il coinvolgimento diretto degli studenti in progetti interdisciplinari molto partecipati e capaci di incentivare processi di coesione sociale.
Le scuole coinvolte hanno infatti preso parte a un percorso sviluppato su più incontri, differenziato tra la scuola primaria e le secondarie di primo e secondo grado: con i bambini si è scelto di lavorare in maniera più approfondita sui luoghi di memoria e sul contesto storico in cui il fenomeno della deportazione si è sviluppato, mentre con i ragazzi delle scuole secondarie di primo e secondo grado ci si è concentrati sulla definizione del sistema concentrazionario nazista e fascista, sulle peculiarità della deportazione razziale e politica e sulla storia della deportazione da Torino, per fornire strumenti utili alla ricostruzione delle biografie delle vittime, assegnando ad ogni scuola una Pietra d’inciampo.
Contestualmente, agli studenti e agli insegnanti è stato richiesto di ideare e progettare un “evento” finalizzato alla valorizzazione dell’installazione artistica e alla divulgazione della storia delle vittime, da realizzarsi nella settimana del Giorno della Memoria. I progetti didattici collaterali alla posa delle Pietre d’inciampo hanno avuto notevole successo a Torino e hanno contribuito alla sensibilizzazione delle nuove generazioni sui temi legati agli orrori della Shoah, suggerendo la possibilità che siano gli studenti stessi, opportunamente supportati, a identificare e indicare nuovi nominativi a cui poter dedicare, in futuro, una Pietra di Inciampo. La mia mozione assurgerebbe l’esperienza torinese a modello per altre realtà del Paese.
Nello specifico, la mia mozione impegna il Governo a promuovere la diffusione e la conoscenza del progetto artistico e culturale delle “Pietre d’inciampo” su tutto il territorio nazionale e a introdurre nelle scuole del territorio, in accordo con i servizi educativi dei musei e degli archivi di Stato, percorsi didattici di approfondimento finalizzati alla ricostruzione della geografia urbana dei luoghi di deportazione e della biografia delle vittime della dittatura nazi-fascista.
Come ha affermato il Presidente della Repubblica Sergio Mattarella, “il virus della discriminazione, dell’odio e del razzismo non è confinato in una isolata dimensione storica”.
Occorre dunque che la politica contribuisca a diffondere i dovuti anticorpi, nel presente dei nostri giorni. E per farlo, non può non concentrarsi sulle generazioni più giovani e più esposte ai rischi di contagio.
Traduzione delle pietre di inciampo: qui visse Ludwig Levy, nato nel 1870, deportato nel 1942 a Theresienstadt (campo di concentramento nella Repubblica Ceca) e morto il 16/09/1942 a Treblinka (campo di sterminio nell’est della Polonia).
A cura dell’On. Michele Nitti.