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Le offese e il credere in sé

16/10/2020

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Possiamo trasformare l’energia negativa che la rabbia di un’offesa crea a nostro vantaggio.
A ffrontiamo un tema sempre molto attuale e “caldo”: l‘offesa. Perché ci offendiamo? Iniziamo col dire che ci sono 5 ambiti dentro di noi, che sono soggetti alla suscettibilità: famiglia, lavoro, immagine di sé, cultura, eros/sesso. Quando questi ambiti vengono colpiti, in modo diretto o indiretto (ad esempio con un confronto) scatta l’offesa. Abbiamo verificato però, che esiste un mezzo per neutralizzare l’offesa: dirsi “sì è vero”.

​Dire a sé stessi questa semplice frase non avalla ciò che l’altro mi sta comunicando, ma mi permette di recuperare un po’ di tempo per affrontare l’offesa ricevuta, funziona cioè da detonatore. Possiamo così trasformare l’energia negativa che la rabbia creerebbe, a nostro vantaggio: quando usciamo dall’asse azione/reazione creiamo un altro equilibrio di pensiero e quindi nuovi percorsi e una nuova comunicazione.

Se uno degli ambiti lo riteniamo di successo, possiamo trasferire quella sicurezza verso gli ambiti di suscettibilità. L’esempio esaustivo è la catenadi montaggio: ci sono gli stessi contenitori ma il contenuto può essere diverso. Al di là del contenuto, mostriamo al nostro cervello un atteggiamento, un nuovo approccio.

La difficoltà sta nella mancanza di abitudine a fare questo: mantenere l’atteggiamento con il quale il cervello si prende il tempo per non sottostare ad una situazione. Il “sì è vero” facilita questo atteggiamento. Si potrà riscontrare che anche il linguaggio del corpo cambierà: se ho un pensiero lo rifletto sul corpo e viceversa. Ma quanto incide il credere in sé anche in questo contesto? Direi molto! 

Gli ingredienti fondamentali sono: fiducia, valore di sé, volontà, verità, sicurezza, coraggio, ascolto interiore.

La fiducia arriva praticando un buon atteggiamento: avere cura dei nostri pensieri, cura di ciò che ci diciamo e dove ci sentiamo “deboli” iniziare a costruire e perseguire abitudini positive di comunicazione verso di noi. 

Questo atteggiamento può traslare su tutto. Se imparo a camminare posso poi imparare a correre. Per la nostra mente spostare una montagna o un sassolino è uguale. Il nostro cervello esegue questi processi, ma noi spesso li boicottiamo: diamo valore alla montagna ma non al sassolino!

La sicurezza nell’atteggiamento ad esempio, non sempre è sicurezza. Spesso il moto d’animo è dettato da una difesa. Non sempre la prontezza è sinonimo di intelligenza. Bisogna comprendere bene in quale atteggiamento si cade per non finire nell’equivoco nella comunicazione verso l’altro. 

Se ho un ambito di offesa già sto credendo a quell’offesa. Quindi, di fatto offendendomi, credo in me, solo che credo a cose poco piacevoli, do credito a quel me che mi scredita. Come diversamente, se mi prefiggo un obiettivo, lo perseguo e lo raggiungo ho creduto in me.

Può succedere che il credere in sé venga confuso con la presunzione. Ma questo concetto non contiene 
l’ingrediente umiltà. L’umiltà è un atteggiamento strutturato che ci permette di accogliere la verità senza giudizio e, in più, elimina anche l’idea di risultato.

Noi possiamo essere giudicati da un “contesto” sulla base dei risultati. Ma un essere umano non può essere giudicato. Una cosa è la valutazione, un’altra il giudizio. In sostanza il credere in sé significa raggiungere un equilibrio dato dal saper accettare la nostra verità e non temere quella che ci può venir detta da altri, qualunque essa sia.

Il progetto in partenza a novembre sulla formazione dei volontari verte anche su questo tema, proprio perché l’equilibrio interiore che scaturisce da ciò che mi dico è la base fondamentale per poter comunicare in modo efficace e costruttivo con il mondo esterno.

A cura di Elisa Amelia.
© Gente in Movimento - riproduzione riservata

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