Le considerazioni che vengono fatte su tale utilizzo sono varie e le più disparate.
Di certo il successo di tale forma di contrattazione di lavoro fa molto pensare e discutere. Però, non si può non evidenziare il fatto che comunque l’utilizzo massivo di tale contrattazione favorisce sicuramente l’emersione di larga parte che potrebbe essere considerata in una fascia del lavoro in “nero”. A beneficiarne, quindi, è l’economia globale della nazione.
Dalla sperimentazione per le vendemmie del 2008, il sistema dei buoni lavoro è andato progressivamente ampliandosi sotto diversi profili, tra cui la modalità di distribuzione dei voucher, inizialmente acquistabili presso le sedi INPS ovvero tramite la procedura telematica, e successivamente ampliatasi grazie alle convenzioni stipulate con l’associazione dei tabaccai prima e con le Banche popolari poi, e da ultimo con la possibilità di acquistare voucher direttamente presso tutti gli uffici postali.
Attualmente, l’acquisto dei voucher presso i tabaccai è di gran lunga prevalente.
Complessivamente, da agosto 2008 (inizio della sperimentazione sull’utilizzo dei voucher per vendemmie di breve durata) al 31 dicembre 2015, risultano venduti 277,2 milioni di voucher di importo nominale pari a 10 euro.
L’importo nominale di 10 euro di ogni singolo voucher comprende la contribuzione a favore della Gestione separata INPS (1,30 euro), quella in favore dell’INAIL (0,70 euro) e una quota per la gestione del servizio (0,50 euro). Il compenso netto per il lavoratore è di 7,50 euro.
La progressiva estensione degli ambiti oggettivi e soggettivi di utilizzo del lavoro accessorio è andata di pari passo con l’aumento della vendita dei voucher, che ha registrato un tasso di crescita del 70% dal 2013 al 2014, e del 66% dal 2014 al 2015.
La tipologia di attività per la quale è stato complessivamente acquistato il maggior numero di voucher è il commercio (17,5%).
La consistenza della voce “altre attività” (34,1%; include “altri settori produttivi”, “attività specifiche d’impresa”, “maneggi e scuderie”, “consegna porta a porta”, altre attività residuali o non codificate) è il riflesso della storia del lavoro accessorio.
In origine, il lavoro accessorio era destinato ad ambiti oggettivi di impiego circoscritti (quindi codificabili), che negli anni si sono progressivamente ampliati, fino alla riforma contenuta nella Legge 92 del 2012 che permette di fatto l’utilizzo di lavoro accessorio per qualsiasi tipologia di attività.
Il ricorso ai voucher è concentrato nel Nord del Paese: il Nord Est con 104,3 milioni di voucher venduti incide per il 37,6%, mentre il Nord Ovest con 81,0 milioni di voucher venduti incide per il 29,2%.
È importante notare che le Regioni del Nord sono quelle che più di altre ne hanno usufruito.
Penso che tale motivazione sia da ricercare in una maggiore offerta di lavoro, che numericamente è maggiore nelle Regioni settentrionali del nostro Paese.
La carenza del lavoro nel Centro-Sud Italia ha fatto sì che anche i voucher siano stati richiesti in misura minore che altrove (nel Nord appunto).
La Regione nella quale si è avuto il maggiore ricorso ai voucher è la Lombardia, con 47,5 milioni di buoni lavoro venduti. Seguono il Veneto, e l’Emilia-Romagna.
Il numero di lavoratori è cresciuto costantemente negli anni, mentre il numero medio di voucher riscossi dal singolo lavoratore, invece, è rimasto sostanzialmente invariato: circa 60 voucher l’anno dal 2012 in avanti.
Poiché l’importo netto che il lavoratore riscuote per ogni voucher è di 7,50 euro, si ricava che il compenso annuale medio netto dal 2012 in poi non è mai arrivato a 500 euro.
Non ci sono differenze significative tra i sessi in termini di compenso.
La quota di lavoratori di cittadinanza extracomunitaria nel 2015 è dell’8,6%. Non ci sono differenze significative nel numero medio di voucher riscossi rispetto alla cittadinanza.
Su 1.380.030 lavoratori che hanno svolto attività nel 2015 il numero di “nuovi” lavoratori è stato pari a 809.341, vale a dire il 59%.
A cura di Giovanni Firera