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Lavorare durante le vacanze

20/7/2015

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È questo il periodo dell’anno durante il quale i ragazzi desiderano trovare un lavoro che permetta loro di ottenere un’entrata economica. Le aziende, però, non sono molto propense a procedere con regolari assunzioni per brevi periodi, oltretutto per personale non dotato di alcuna esperienza. Cosa fare? Esiste una soluzione? Senz’altro si.
Infatti, a partire dall’inizio del mese di giugno e fino a tutto settembre, gli studenti tra i 16 ed i 25 anni regolarmente iscritti ad un ciclo di studi presso l’Università o un Istituto scolastico di ogni ordine e grado, possono svolgere attività di lavoro accessorio.
Di cosa si tratta?
Il lavoro accessorio è una particolare modalità di prestazione lavorativa la cui finalità è quella di regolamentare quelle prestazioni occasionali, definite appunto “accessorie”, che non sono riconducibili a veri e propri contratti di lavoro in quanto svolte in modo saltuario, e quindi di tutelare situazioni altrimenti non regolamentate che, altrimenti, rischierebbero di ricadere nel lavoro nero.
In buona sostanza, si tratta di quelle prestazioni il cui pagamento avviene attraverso la corresponsione di buoni lavoro (altrimenti detti voucher), ognuno dei quali ha un valore lordo pari a 10€, comprendente sia la retribuzione del lavoratore che la contribuzione previdenziale (ai fini pensionistici) ed assicurativa (contro gli infortuni sul lavoro). Al lavoratore (nel nostro caso, lo studente) rimangono in tasca 7,50€ all’ora. Il tutto esentasse, che non è male.
Va peraltro precisato che i buoni lavoro non danno diritto a prestazioni di malattia, maternità, disoccupazione ed assegni familiari, e che possono essere utilizzati esclusivamente in caso di prestazioni lavorative svolte direttamente a favore dell’utilizzatore finale, essendo escluso che un’impresa possa reclutare e retribuire lavoratori per svolgere prestazioni a favore di terzi, come nel caso dell’appalto o della somministrazione (tranne nel caso di attività di steward in manifestazioni calcistiche, per la quale l’utilizzo dei voucher risulta legittimo).
L’unica limitazione posta dal legislatore è di carattere quantitativo: il lavoratore non può guadagnare in un anno più di 5.060€ netti, anche sommando più rapporti lavorativi. Inoltre, se l’attività viene svolta per imprese o studi professionali, ogni singolo committente non può pagare più di 2.020€ all’anno al medesimo lavoratore. Nell’ambito del settore agricolo vige una regolamentazione particolare, che però non è molto dissimile da quella appena descritta.
Solitamente ciò che limita l’utilizzo dei normali contratti lavorativi è costituito dai vari vincoli burocratici, spesso inutili e ripetitivi, che “fanno scappare la voglia” di regolarizzare questi rapporti di lavoro instaurati per brevi periodi con questi ragazzi. Ebbene, il bello del sistema dei voucher è proprio quello di aver superato la maggior parte delle difficoltà legate alle varie comunicazioni obbligatorie. Infatti, per poter lavorare con questo sistema gli studenti non devono affrontare alcun impegno burocratico (tranne nel caso in cui siano minorenni, nel qual caso dovranno presentare al committente l’autorizzazione al lavoro rilasciata da chi esercita la potestà genitoriale).
Il committente, da parte sua, per poter far lavorare con il sistema dei voucher, deve adempiere a ben pochi e semplici adempimenti
- Innanzitutto, deve acquistare i voucher (presso l’Inps, o presso un ufficio postale, o in tabaccheria ovvero in banca), in numero sufficiente per poter pagare tutte le ore di lavoro che stima necessarie;
- Prima dell’inizio dell’attività lavorativa, deve “attivare” i voucher acquistati, comunicando telematicamente all’Inps i dati anagrafici del lavoratore, il luogo in cui si svolgerà l’attività lavorativa nonché la sua durata presunta;
- al termine dell’attività lavorativa, consegnare al lavoratore i voucher in misura (almeno) pari ad uno di essi per ogni ora lavorata.
Il nostro ragazzo, dal canto suo, non dovrà fare altro che presentare i buoni ricevuti ad un qualsiasi ufficio postale, unitamente ad un documento di identità, e convertirli, così, in denaro sonante.
Facile no? 

A cura di Bruno Bravi

© Gente in Movimento - riproduzione riservata

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