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L’attività investigativa della Polizia Penitenziaria

18/2/2019

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Un corpo di Polizia altamente specializzato che rivendica 
la giusta considerazione e attenzione politico-istituzionale.
Desidero rivolgere, unitamente al mio ringraziamento per la Vostra qualificata e graditissima attenzione, qualche breve riflessione sul tema del contrasto alla criminalità organizzata nell’ambito dell’esecuzione penale attraverso l’attività info-investigativa della Polizia Penitenziaria, in coordinamento con le altre Forze di polizia.

Lasciatemi ricordare, prima di tutto, che sono un dirigente penitenziario oltre che un Senatore della Repubblica eletto nelle liste del Movimento 5 Stelle e, proprio in ragione della militanza alla direzione di istituti penitenziari, conosco da vicino la professionalità degli uomini e delle donne di un Corpo di Polizia oggi ormai altamente specializzato, che rivendica giustamente, assieme alla carriera dei direttori penitenziari, la giusta considerazione ed attenzione politico-istituzionale.

E, da questo punto di vista, desidero evidenziare il preziosissimo gesto di attenzione del Ministro Bonafede e del Capo del DAP Basentini che, in pochissimi mesi dall’insediamento di questo Governo, si sono battuti e sono riusciti a fare inserire nella legge di conversione del decreto sicurezza la previsione di un Nucleo di Polizia Penitenziaria a supporto delle funzioni del Procuratore nazionale antimafia. Il carcere è, a tutti gli effetti, territorio dello Stato.

La sicurezza penitenziaria è una porzione importantissima della sicurezza pubblica e il manteni mento dell’ordine e della disciplina negli istituti penitenziari può e deve considerarsi parte del processo di mantenimento dell’ordine pubblico. 

È per tale motivo che la legge n. 121 del 1981 e la legge n. 395 del 1990 qualificano la Polizia Penitenziaria quale Corpo di polizia dello Stato ad ordinamento civile, posto alle dipendenze del Ministero della giustizia.

Ed anche ai direttori penitenziari, ancora orfani di un primo contratto, si applicano le disposizioni ordinamentali dei dirigenti della Polizia di Stato.

Questo aspetto deve fare riflettere sull’utilità di continuare a perseguire una gestione ordinamentale delle dirigenze “separata”, in cui i dirigenti penitenziari dirigono il carcere e i dirigenti di Polizia penitenziaria dirigono i Reparti del Corpo.

Consentitemi di dire che è forse arrivato il momento di rendere fungibili, in seno al comparto sicurezza le funzioni delle due carriere dirigenziali, previa adozione di esigui accorgimenti normativi che, senza alcun costo, produrrebbero senz’altro ingenti economie per le casse dello Stato ed efficienterebbero sensibilmente la macchina amministrativa penitenziaria.

Fatta questa veloce premessa ordinamentale, non posso non ribadire e sottolineare che la Polizia Penitenziaria ha ordinamento, organizzazione e disciplina rispondente ai propri compiti istituzionali e, con specifiche attribuzioni, deve essere equiparata alle altre Forze di Polizia.  

Sottolineo, al riguardo, che in virtù di quanto stabilito dall’art. 5 della legge n.395 del 1990, gli appartenenti al Corpo di polizia penitenziaria espletano tutti i compiti conferiti loro dalla legge n. 354 del 1975, dal relativo Regolamento di esecuzione (DPR n. 230 del 2000), nonché dalle altre leggi e regolamenti.
 
E tra i compiti attribuiti al Corpo dalla legge e dai regolamenti ci sono quelli connessi all’espletamento delle funzioni di polizia giudiziaria riconosciute dal codice di procedura penale, senza alcun limite spazio-temporale o ratione materiae.

Con il decreto legislativo n. 218 del 2012, il Corpo è stato inoltre inserito nell’organico della Direzione Investigativa Antimafia e, come ricordato, con il recente decreto sicurezza è stato istituito un Nucleo di Polizia Penitenziaria presso la Procura nazionale antimafia ed antiterrorismo: tutto questo vuol dire che è sempre più avvertita l’esigenza di indagini specializzate che solo la Polizia Penitenziaria, per la specifica competenza e conoscenza della popolazione detenuta, riesce a condurre. 

Molti esponenti della criminalità organizzata e molti terroristi sono detenuti negli Istituti Penitenziari della Nazione e il Procuratore nazionale antimafia e il comandante del NIC testimonieranno meglio di me come molte inchieste investigative prendano le mosse proprio dal carcere.

Un recentissimo servizio del Tg1 ha evidenziato l’importanza di una strategia di osservazione e sorveglianza “mirata” per questa tipologia di detenuti, i cui risultati sono riversati nella casa comune del Comitato di analisi strategica antiterrorismo. 

Da ciò è facile dedurre che la Polizia Penitenziaria non si limita all’attività di repressione, ma è attivissima, ed utilissima, anche nel campo della prevenzione. Manca ancora, tuttavia, un piccolo passaggio: per conferirle maggiori strumenti non è ulteriormente rinviabile l’inserimento della Polizia Penitenziaria nell’ambito degli organismi interforze che svolgono indagini sulla criminalità organizzata, attraverso la modifica dell’articolo 12 del decreto legge n. 152 del 1991 (convertito nella legge n. 203/1991).

L’auspicata modifica renderebbe il quadro normativo di riferimento coerente con la realtà operativa già in essere e troverebbe giustificazione nella specificità delle attività del Corpo di Polizia Penitenziaria in ambito investigativo penitenziario.

Il contrasto alla criminalità organizzata ed al terrorismo non possono vivere di particolarismi e parzialità. Le competenze della Polizia Penitenziaria sono ex lege riferibili all’esecuzione penale senza alcun limite, sia che si debba osservare scientificamente la personalità di un detenuto per tentarne la risocializzazione, sia che si debba investigare sulla continuità dell’azione criminale di una consorteria i cui capi o promotori siano detenuti in carcere (si pensi all’articolo 41 bis dell’ordinamento penitenziario, norma di prevenzione e non di repressione detentiva, alla cui attuazione ed esecuzione attende personale del Gruppo operativo 
mobile della Polizia Penitenziaria).

Osservo, infine, che sarebbe assolutamente necessario modificare l’art.5 delle disposizioni di attuazione del codice di procedura penale, consentendo l’inserimento del personale del Corpo nell’organico delle sezioni di P.G. istituite presso ogni procura della Repubblica ex art. 56 c.p.p., conferendo organicità alle numerose applicazioni di ufficiali ed agenti di polizia giudiziaria del Corpo già oggi assegnati a diverse Procure della Repubblica (da direttrice del carcere di Trani sono stata testimone, dell’utilità dell’applicazione in Procura di nostri agenti, proprio per agevolare la conoscenza della complessa realtà carceraria da parte di chi debba investigare su reati avvenuti in carcere o comunque connessi con il regime penitenziario), e molto spesso pianificati nelle carceri, nonché la necessità della presenza del personale di Polizia Penitenziaria  e della dirigenza penitenziaria che possa essere assegnato sistematicamente presso i tribunali di sorveglianza in modo da svolgere un ruolo di trade union tra le autorità giudiziarie ed il carcere.  

La specificità è, difatti, innanzitutto specializzazione e costituisce una ricchezza. Spero di aver offerto qualche utile spunto di riflessione, Vi ringrazio per l’attenzione.

A cura della Sen. Angela Bruna Piarulli.
© Gente in Movimento - riproduzione riservata

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