Ma dietro quelle uova così ben confezionate e rifinite si cela la triste storia di milioni di esseri umani, molti dei quali bambini, costretti a vivere in condizione di povertà estrema, malnutrizione e sfruttamento.
Sono circa 2 milioni i bambini tra i 5 e i 15 anni che lavorano dalle 8 alle 20 ore al giorno nelle piantagioni di cacao in Ghana e in Costa d’Avorio. Spesso i coltivatori utilizzano la manodopera infantile per via del basso costo e anche perché i bambini sono molto più ubbidienti degli adulti.
Un bambino, infatti, costa circa 299 euro all’anno di contro i 122 euro che un coltivatore sarebbe costretto a pagare mensilmente per il lavoro di un adulto. Inoltre, quanto agli agricoltori, molti di loro vivono al di sotto della soglia di povertà definita dalle nazioni unite (1.9 dollari US al giorno).
Nonostante il cacao sia cruciale per l’economia di molti Paesi, esso è anche causa di deforestazione in molte aree protette, con conseguente perdita di biodiversità, estinzione di molte specie e deterioramento dell’ecosistema. Non a caso, la Costa d’Avorio e il Ghana vantano il più alto tasso di deforestazione in Africa centrale e occidentale; si stima infatti che i due Paesi africani abbiamo già perso il 90% delle loro foreste.
In un contesto di salari estremamente bassi, sfruttamento minorile, e distruzione ambientale, la società civile e le multinazionali hanno dato luogo a diverse iniziative per combattere lo sfruttamento nel ciclo di produzione globale. Un’iniziativa piuttosto diffusa è quella delle certificazioni etiche. Esempi ben conosciuti includono FSC (Forest Stewardship Council), FairTrade, UTZ, Rainforest Alliance e Organic.
Un report del 2017 dell’International Trade Center stima che nel 2015 il 23% delle aree mondiali coltivate a
cacao erano certificate da uno dei 5 maggiori enti di certificazione. Nonostante le certificazioni etiche diano l’impressione ai consumatori di operare scelte d’acquisto che non contribuiscono ad alcuna forma di sfruttamento, al momento, purtroppo, la realtà è ben diversa: le norme internazionali vengono spesso violate e i salari minimi non vengono rispettati nemmeno per i prodotti certificati.
Lo studio della prof.ssa Genevieve LeBaron dell'Università di Sheffield, pubblicato a maggio 2018, intitolato The global Business of Forced Labour sostiene che ben il 95% dei lavoratori delle piantagioni di cacao non sappiano se la piantagione dove stanno lavorando sia o meno certificata.
Come se non bastasse, il 23% dei coltivatori di cacao non viene retribuito neppure per il lavoro svolto. Nello studio emerge altresì che “alcuni dei casi più gravi di sfruttamento [...] si sono verificati in piantagioni con certificazione etica”.
Lo stesso report di FairTrade International sostiene che, nonostante si sia assistito ad un aumento vertiginoso nelle vendite dei prodotti certificati FairTrade, gli agricoltori di cacao continuano a vivere in condizioni di estrema povertà.
Il Corrispondente dell’Agenzia Reuters per l’Africa centrale ed occidentale, Ange Aboa, nel suo intervento come speaker durante l’audizione organizzata in Parlamento dalla commissione DEVE e sottocommissione DROI nel luglio 2018, ha fornito maggiori chiarimenti riguardanti alcuni dei problemi legati alle certificazioni etiche.
I programmi di certificazione hanno portato ad un aumento della produzione di cacao in Costa d'Avorio, dove si è passati da 1,2 milioni di tonnellate a 2 milioni nel 2017. Ciò ha portato ad una sovrapproduzione strutturale di 300.000 semi di cacao ed alla conseguente riduzione del prezzo mondiale del cacao del 40%.
Negli ultimi giorni il prezzo del cacao è ulteriormente sceso: a quanto pare, incentivare i coltivatori a produrre più semi di cacao non ha per niente risolto il problema del lavoro infantile, ma al contrario ha provocato un crollo del prezzo del cacao accentuando, di fatto, il problema.
L’Unione Europea, nel frattempo, continua a sovvenzionare meccanismi di certificazione che purtroppo non si sono rivelati efficaci. Ad esempio, ha stanziato 5,6 milioni di euro per il progetto “Trade Fair Live Fair”, che copre anche prodotti come il tè e il cacao.
Sebbene sia vero che l’UE abbia adottato misure per regolamentare alcune catene di approvvigionamento, ad oggi, non esiste una normativa europea che regoli la tracciabilità del cacao.
Nel 2012 il parlamento ha approvato una risoluzione sulle forme di lavoro minorile nelle aree di coltivazione del cacao, richiedendo alla commissione coerenza politica per eliminare le peggiori forme di sfruttamento. Dopo sei anni la situazione non solo non è migliorata, ma peggiorata.
Allo stesso modo, risposte vaghe e non esaustive sono state fornite dalla Commissione nelle svariate
interrogazioni presentate in materia dai deputati europei e supportate trasversalmente dalla maggior parte delle forze politiche.
Le certificazioni potrebbero ancora rappresentare uno strumento valido ed efficace solo nella misura in cui ci sia un effettivo e serio controllo in ordine al reale rispetto delle regole etiche.
Si possono immaginare diversi sistemi per addivenire allo stesso risultato. Quello che importa è il risultato. Ovvero un sistema che sia vincolante e che sia pensato per agire su scala globale. Un sistema cioè che sia in grado di superare i rigidi confini dettati dalle giurisdizioni dei singoli ordinamenti nazionali, per abbracciare tutta la catena di produzione.
In questo senso, una delle strade che da anni proponiamo con forza è quella della conclusione di un accordo globale in materia di responsabilità delle imprese per violazioni di diritti umani. Tale accordo è attualmente in negoziazione a Ginevra, sotto l’egida delle nazioni unite.
Le reazioni da parte dell’Ue e di molti Stati Membri sono però molto timide. Per tale ragione, peraltro, ultimamente abbiamo intensificato i nostri appelli a supporto di tali negoziazioni.
Recentemente, per esempio, è stato chiesto che la commissione Sviluppo del Parlamento europeo realizzasse uno studio dal titolo: "L’effetto dei sistemi etici di certificazione finanziate dall’UE nella riduzione del lavoro minorile: aumentare la consapevolezza sul tema, la trasparenza e la tracciabilità per garantire una catena di valore responsabile nei settori del caffè, del tè e del cacao".
Sul tema non è più ammissibile il silenzio, né l’ignoranza in cui vengono tenuti gli agricoltori, o gli equivoci
ingenerati negli ignari consumatori.
Sperando di contribuire a eliminare il retrogusto amaro dal cioccolato, e far sì che nessuna deludente sorpresa si nasconda dietro le gustose uova, continuerò questa importante battaglia che sin dal mio insediamento in Parlamento Europeo reputo tra le più meritevoli di essere combattute.
A cura dell’On. Ignazio Corrao, con la collaborazione di Rossella Culora.