Premettiamo che le variabili in gioco sono innumerevoli, perciò la seguente analisi non è valida in tutti i casi, ma va personalizzata sul singolo soggetto.
Il breve ragionamento che segue, tuttavia, ci consentirà di dimostrare che, sovente, la Srl non è conveniente rispetto ad una società di persone.
Ricordiamo che nelle società personali il reddito è imputato pro quota al socio, il quale pagherà la corrispondente IRPEF, mentre la Srl è soggetta all’IRES con aliquota proporzionale al 24%.
L’errore da matita blu per cui si pensa che la Srl consenta un risparmio di imposte è il seguente: “la Srl paga il 24%, meno delle aliquote Irpef, per esempio rispetto al 38% per chi supera i 28.000 €, per arrivare al 43% oltre i 75.000 €”
Perchè questa affermazione è profondamente sbagliata?
Il primo aspetto è quello di confondere l’aliquota marginale nominale con l’aliquota media. La prima ci indica quante imposte gravano su un euro di reddito aggiuntivo. Quindi passando da un reddito di 28.000 a 28.001 pagheremmo 0,38 € in più nel caso di reddito Irpef, mentre 0,24 € se fosse una Srl.
Quello che però è davvero importante considerare nelle micro-valutazioni fiscali, a maggior ragione in un sistema fiscale in cui sono presenti deduzioni e detrazioni d’imposta, è l’aliquota media, ossia il rapporto tra le imposte dovute ed il reddito. Mentre nel caso della Srl l’aliquota media è quasi sempre del 24% essendo un’imposta proporzionale che ammette poche detrazioni, molti contribuenti scopriranno che la loro aliquota media IRPEF (calcolabile come rapporto tra l’imposta netta di competenza ed il reddito complessivo, RN26/RN1 nel modello Redditi PF e che indica le imposte effettive) è ben inferiore all’aliquota marginale, nonché al 24% che grava sulla Srl.
Il secondo aspetto per capire l’errore del “pensiero popolare” prima esposto è ancora più importante: il carico fiscale teorico per i soci della Srl si limita al 24% soltanto se essi non percepiscono compensi di amministratore o non prelevano dividendi.
Ipotesi alquanto improbabile visto che per la maggioranza dei soci di MPMI, gli utili della società sono la principale, se non unica, fonte di reddito.
Perciò oltre all’Ires che grava sulla società, bisogna considerare le imposte da essi dovute in quanto soci. Le opzioni sono due: compenso di amministratore o dividendi. Il compenso è soggetto ad Irpef quindi, al crescere del compenso, la situazione tende a coincidere con le società personali, arrivando ad un punto di eguaglianza laddove il compenso fosse uguale al reddito lordo.
La posizione è più svantaggiosa per i soci non amministratori, in quanto sui dividendi grava un’imposta sostitutiva del 26%.
Il costo complessivo è quindi quantificabile come segue: (0,24+X*0,76*0,26)*100, dove X indica il payout ratio, ossia la percentuale di utile che viene distribuito.
In ambito contributivo non troviamo differenze tra un socio di Snc o di Srl: è tenuto, infatti, ad iscriversi all’Inps il socio che svolge prevalente attività lavorativa nella società.
C’è, però, uno svantaggio per il socio di Srl: la necessità di prelevare dividendi per poter far pagare i contributi e l’impossibilità di dedurli, in assenza di altri redditi, vista la tassazione sostitutiva dei dividendi.
A cura di Paolo Ferraris.