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La riforma delle pensioni: Quota 41

14/11/2022

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Quota 41 può essere un punto di riferimento per le pensioni nel 2023. Per Marina Calderone, Neoministro del Lavoro, senza correttivi, dal primo gennaio 2023 il rischio è di una situazione che potrebbe comprimere ancora di più la dinamicità del mercato del lavoro. 
In quest’ottica il ministero lavora per confermare alcuni interventi e valutare in che modo introdurre altre forme di flessibilità in uscita che siano sostenibili, al di là delle singole misure che finiranno nella prossima legge di bilancio. Ma vediamo di cosa si parla e quali sono le proposte in campo. Il tetto massimo del costo del pacchetto previdenziale nel 2023, per evitare il ritorno della legge Fornero in versione integrale, deve rimanere sotto il miliardo di euro.

Le forze politiche del centrodestra, in sinergia con i vertici del Mef e dell’Inps, devono garantire un percorso che individui una flessibilità in uscita dei lavoratori a basso costo, senza intaccare gli equilibri della maggioranza e senza precludere il dialogo con le parti sociali. L’ipotesi più avvalorata sarebbe un’operazione che metta in campo nel 2023 Quota 41 associata al requisito anagrafico minimo di 61 o 62 anni, vincolo che potrebbe vedere esentate alcune categorie specifiche di lavoratori.

Il paletto dell’età diventerebbe più flessibile per fissare a regime il pensionamento anticipato con 41 anni di versamenti contributivi, sempre compatibilmente con i conti pubblici. Sarebbe dunque una Quota 102 o 103 di fatto, versione riveduta rispetto a quanto finora in vigore, che decadrà a fine anno (64 anni di età e 38 di contributi). Il costo potrebbe oscillare tra i 600 e gli 850 milioni di euro, e la proroga di Opzione Donna e Ape sociale – considerata praticamente certa – consentirebbe di rimanere sotto il limite del miliardo sulla prossima manovra. Un’altra proposta, particolarmente cara alla Premier Meloni, sarebbe Opzione Uomo: non penalizzerebbe oltremodo i conti e la posizione dell’Italia in Europa.

L’opzione è finora riservata alle donne, lavoratrici dipendenti e autonome, e consente il pensionamento a 58-59 anni con 35 di contributi, ma con una penalizzazione fino a un terzo dell’assegno. Anche altre ipotesi di uscite flessibili tra 61 e 67 anni - vagliate da FdI - comporterebbero un costo, una rinuncia per ogni anno di anticipo rispetto ai requisiti Fornero. Ape sociale invece non è una pensione ma una misura assistenziale, un assegno ponte che traghetta disoccupati e lavoratori in difficoltà - compresi gli addetti a mansioni gravose - verso la pensione consentendo loro l’uscita a 63 anni. Poi c’è invece - strutturale - la via d’uscita per i “precoci”, lavoratori che hanno iniziato a lavorare prima dei 15 anni e che possono uscire con 41 anni di contributi solo però se nelle categorie svantaggiate dell’Ape sociale.

Cosa succede invece se non si troveranno margini nella manovra per il 2023? I requisiti Fornero torneranno a prevalere, in quanto solo derogati da Quota 100 e Quota 102. E quindi: 67 anni e 20 di contributi per la pensione di vecchiaia oppure 42 anni e 10 mesi (un anno in meno per le donne) per la pensione anticipata (ex pensione di anzianità).

​È chiaro che occorrerà tenere conto delle indicazioni del Ministro dell’Economia Giancarlo Giorgetti, che – seppure in veste di tecnico – resta un esponente di peso della Lega. Non sarà facile per lui bocciare Quota 41 in forma secca, richiesta che arriva dal suo partito. Dovrà infatti fare i conti con le poche risorse a disposizione senza derogare ai vincoli di un bilancio in sofferenza, per evitare che il neonato governo finisca subito nel mirino di Bruxelles.
© Gente in Movimento - riproduzione riservata

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