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La quarta rivoluzione industriale europea

17/8/2020

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Obiettivo del New Green Deal è favorire la transizione dal fossile alle energie rinnovabili per abbattere le emissioni inquinanti. 
New green deal, Biodiversity, Farm to Fork, Next generation Eu, Qfp, Pac: a persone e viaggiatori comuni queste parole tra virgole, forse, diranno poco o nulla. 

Eppure rappresentano i capisaldi di una politica articolata e di ampio respiro che nei prossimi decenni dovrà accompagnare circa 450 milioni di cittadini europei, compresi noi italiani, con un approccio molto diverso dal passato. Complice la pandemia da Coronavirus che quest’anno ha colpito, e sta colpendo, il mondo intero con la perdita di migliaia di vite umane e pesanti risvolti sanitari, economici e sociali.

Senza addentrarmi in riflessioni che non mi competono, come parlamentare europeo, membro effettivo delle commissioni Agricoltura, Bilanci e Commercio internazionale, vorrei comunque sottolineare e condividere con voi lettori, in modo sintetico, la portata di questi interventi.

A inizio anno la presidente della Commissione Ue, Ursula von der Leyen, ha definito il ‘New green deal’ come la “quarta rivoluzione industriale europea”, che avrà l’obiettivo, da qui al 2050, di favorire la transizione dal fossile alle energie rinnovabili per abbattere le emissioni gassose inquinanti e portare l’Europa alla neutralità climatica. 

In pratica, un maxi-piano a tutela dell’ambiente e della salute dei cittadini che coinvolgerà tutte le politiche comunitarie, puntando ad attivare subito risorse finanziarie stimate, tra pubbliche e private, comprensive dell’emergenza Covid, in circa 3mila miliardi di euro.

Il New green deal farà leva su due strategie, ‘Biodiversity’ e ‘Farm to Fork’, che saranno la cartina di tornasole per imprese, lavoratori e consumatori. Due asset fondamentali per la crescita sostenibile e la lotta contro i cambiamenti climatici, sui quali la Politica agricola comune (Pac), che insieme alle politiche di Coesione, voglio ricordare, assorbe circa il 70% del budget Ue, avrà un ruolo determinante.

La scommessa sarà garantire la biodiversità, con i suoi equilibri tra specie animali e vegetali, che sono già di per sé una ricchezza per il pianeta, e coinvolgere direttamente i cittadini nelle scelte delle filiere agroalimentari, dai campi alla tavola.

Innovazione tecnologica e ricerca dovranno essere alla base di strumenti utili per non sprecare acqua e suolo, aumentando le rese di prodotti agroalimentari di qualità con meno chimica di sintesi. Ma anche per fornire informazioni chiare e trasparenti sull’origine e i valori nutrizionali degli alimenti, tali da consentire ai consumatori di scegliere liberamente senza essere condizionati al momento dell’acquisto.

Una questione, in particolare quest’ultima, sulla quale una parte dei 27 Stati membri ha già adottato in via volontaria tre diversi sistemi di classificazione degli alimenti, ma che il Parlamento punta a regolamentare con un provvedimento di legge comune. 

Intanto, con le prime linee guida del Green deal la Commissione ha indicato agli agricoltori i primi step da raggiungere nel 2030, che prevedono il dimezzamento degli agrofarmaci, una riduzione del 20% dei fertilizzanti chimici e il contestuale aumento delle superfici coltivate con metodo biologico, che entro i prossimi dieci anni dovranno rappresentare un quarto del totale. Tra gli obiettivi, anche la realizzazione di aree protette sul 30% delle terre e dei mari, il dimezzamento delle vendite di antibiotici negli allevamenti e negli impianti di acquacoltura.

In attesa dei testi legislativi necessari per l’applicazione del New green deal e delle relative strategie, nel luglio scorso i capi di Stato e di Governo dell’Ue hanno nel frattempo raggiunto un accordo politico sul Quadro finanziario pluriennale (Qfp) 2021-2027. In pratica, la legge di programmazione del bilancio europeo per i prossimi sette anni, con una dote di circa 1.100 miliardi, comprensivi dei fondi Pac, che è legata in via straordinaria al Recovery Plan, o Next generation Eu, il piano per la ripresa economica post-Covid, con altri 750 miliardi (390 di sussidi, 360 di prestiti), di cui 7,5 destinati in specifico all’agroalimentare.Premesso che la proposta del Consiglio Ue, nel complesso, dovrà ora affrontare il suo percorso inter-istituzionale, tra Commissione, Parlamento e Stati membri, la Politica agricola comune parte con un budget di circa 344 miliardi: 20 miliardi in più rispetto alla proposta iniziale messa sul tavolo dalla Commissione europea nel 2018, ma quasi 40 in meno rispetto alla precedente programmazione 2014-2020.

In ogni caso, si tratta della proposta finanziaria iniziale di una Pac in fase di riforma (la prossima, come previsto dal regolamento transitorio che abbiamo approvato prima dell’estate, partirà nel 2023) e per la quale, noi eurodeputati, abbiamo chiesto una dotazione di 1.300 miliardi. 

Del resto, per il via libera al prossimo bilancio europeo, come Parlamento abbiamo posto alcune condizioni inderogabili. E la prima è che non vi sia alcun taglio delle risorse, con una dotazione finanziaria più vicina all’1,3% di contribuzione da parte dei singoli Stati sul Reddito nazionale lordo, a fronte di una proposta della Commissione di poco superiore all’1 per cento.

Su queste differenti percentuali, in apparenza minime ma decisive per la realizzazione di una nuova, ambiziosa Politica agricola comune, più rispettosa dell’ambiente e della salute dei cittadini, oltre che dei redditi degli agricoltori e di tutti i lavoratori, nei prossimi mesi l’Unione giocherà tutte le sue carte. Il Parlamento, nel suo ruolo di co-decisore dei progetti europei, continuerà a essere in prima linea a difesa di tutti i cittadini.

Da parte mia, come relatore della parte agricola del Recovery Fund, ho già chiesto che i fondi assegnati alla Pac nell’ambito del programma sulla Next generation Eu siano disponibili in tempi rapidi.

A cura dell’On. Paolo De Castro.
© Gente in Movimento - riproduzione riservata

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