L’Europa deve battere un colpo, in termini di autorevolezza in politica estera. Ma innanzitutto dobbiamo difenderci, perché esiste una minaccia.
La migliore deterrenza alla guerra è un’industria della Difesa efficiente, per prepararsi alla guerra bisogna amare la pace che è l’obiettivo superiore, indiscusso e indiscutibile. Il compito della politica è quindi trovare un equilibrio tra quel prepararsi alla guerra e “porgere l’altra guancia”.
In un momento di aggressione inattesa, a causa dei meccanismi di inerzia che si creano in tempi di pace, è necessario ripercorrere i passi che hanno caratterizzato gli anni della Guerra Fredda: dallo scudo spaziale di Reagan al muro di Berlino che è caduto senza che facesse un morto.
Oggi, invece, dopo due anni dallo scoppio della guerra in Ucraina, l’industria bellica continua a produrre armi convenzionali.
L’Europa, quindi, ha ancora un lungo percorso davanti a sé prima che possa iniziare a prendere forma un’idea concreta di Difesa comune. La politica estera dei vari Paesi deve diventare la politica estera comunitaria per arrivare ad avere una difesa unitaria che ne sia la naturale conseguenza, con finanziamenti adeguati.
Solo così l’Europa, che ritengo essere la mia casa con il Partito Popolare Europeo, riuscirà con forza ad alzare la voce e a “contare” sullo scenario internazionale, anche nei contesti più delicati.
Penso ad esempio all’Armenia. Bisogna avere il coraggio di sottolineare che ben vengano i negoziati, i colloqui di pace, il dialogo con l’Azerbaigian, come invocato dalla comunità internazionale e da Papa Francesco nel messaggio di Pasqua. Ma non possiamo e non dobbiamo dimenticare, o fingere di non ricordare, la drammatica cancellazione del popolo cristiano dal Nagorno-Karabakh sradicato da una terra dove vive da quattromila anni. Ora che i riflettori si sono riaccesi su questo focolaio di guerra, l’aggressione al popolo armeno non può e non deve essere sottovalutata o derubricata.
Le istituzioni Europee hanno oggi una nuova chance per superare l’immobilismo e alzare la voce. Una chance per agire e non, semplicemente, osservare. Servono atti di coraggio, come ho invocato nei mesi scorsi, sostenuto dal PPE, arrivando anche a ipotizzare sanzioni nei confronti dell’Azerbaigian. L’Europa non è credibile se continua a predicare forme di allargamento salvo poi non tutelare la storia e il futuro di un popolo che rappresenta oggi anche la cultura europea.
Dopo la crisi in Ucraina, nel Medio Oriente, nel Nagorno-Karabakh, cosa potrebbe accadere ancora a pochi chilometri dai nostri confini europei? Un negoziato, qualsiasi negoziato, deve porre le basi – e non transigere – sul rispetto dei diritti e delle prerogative della parte lesa. Papa Francesco ha incoraggiato i colloqui fra l’Armenia e l’Azerbaigian perché possano “proseguire il dialogo, soccorrere gli sfollati, rispettare i luoghi di culto delle diverse religioni”.
Di fronte al dramma del Nagorno-Karabakh dove abbiamo visto immagini di persone, chiese e simboli cristiani attaccati con intento distruttivo, operazioni condotte con la ferocia disumana di chi vuole spazzare via un intero popolo, non c’è spazio per una diplomazia che finge di non sapere o che agisce timidamente.
L’Europa può e deve battere un colpo, su tutti i fronti.