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La motivazione che spinge al lavoro ben fatto

2/1/2023

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​”L’Italia è una Repubblica democratica, fondata sul lavoro” ma l’articolo 1 della nostra Costituzione non è sufficiente quale motivazione a svegliarsi ogni mattina e affrontare il traffico, con l’ansia di arrivare in ritardo, pensando solo quanto tempo manca per tornare a casa. ​

A cura di Maria Luisa Giovannone

Quello che fa muovere ogni individuo, sia esso titolare, dipendente o lavoratore autonomo, dovrebbe essere la gratificazione che trova nel lavoro che svolge, e questa gratificazione non è solo economica. Ci sono altri aspetti che legano più o meno saldamente una persona al proprio lavoro e che influiscono, sia direttamente che indirettamente, sulla prestazione resa. Ad esempio, il rapporto con i colleghi, che rappresentano persone con cui condividere il successo del raggiungimento di un traguardo così come il peso di un mancato obiettivo. Il rapporto di stima reciproca con il proprio superiore e/o con il titolare è centrale per i dipendenti, mentre per gli autonomi è rilevante il ritorno di stima che avvertono dalla società e dagli altri “pari”.

Ovviamente, rilievo lo hanno le relazioni personali, anche se esterne all’ambiente lavorativo. Per esempio, l’obiettivo di acquistare un appartamento adatto alle esigenze familiari (per grandezza, locazione, impegno economico) per molti è una motivazione sufficiente a impegnarsi nel lavoro in modo continuativo così da ottenere un contratto stabile e riuscire ad accedere a mutui/finanziamenti e onorarli nel tempo. Ogni individuo trova la motivazione per impegnarsi nel proprio lavoro rispetto all’obiettivo che deve raggiungere, sia questo nella sfera lavorativa o personale (e magari il lavoro è uno degli strumenti utili al raggiungimento).

Quando la motivazione vacilla e viene meno, cosa succede? La prestazione molto probabilmente non sarà ottima, né sotto il punto di vista della qualità né del tempo impiegato, e probabilmente ne risentirà anche il rapporto con gli altri lavoratori. La mancata concentrazione e attenzione, potrebbe comportare danni rilevanti a livello economico (commesse contestate, tempi troppo dilatati nella consegna, assenze continue che inficiano sul termine della lavorazione, ecc.) fino a un infortunio più o meno grave! Generalizzare non è semplice. Tuttavia, se devo dare dei suggerimenti, inizierei approfondendo la motivazione e l’aspettativa. Un lavoratore che vede la retribuzione commisurata al tempo e alla qualità della prestazione sarà più incentivato a fare un buon lavoro contenendo i tempi di esecuzione.

Un datore di lavoro che vede i propri lavoratori sempre impegnati al massimo nella prestazione, senza ritardi o imprevisti, sarà lieto di erogare dei premi incentivanti e, in caso di picchi di lavoro, non avrà dubbi su autorizzare gli straordinari e ricompensare la disponibilità dei propri dipendenti. Gli equilibri tra “diritti” e “doveri” nel posto di lavoro sono già di per sé un primo elemento motivante: la certezza che i propri diritti sono rispettati (retributivi, assenze tutelate senza ripercussioni, ecc.) è importante quanto la consapevolezza di un ambiente lavorativo “stimolante” e “accogliente”.

Il datore di lavoro, d’altro canto, per ​trovare nuove commesse, definirne il prezzo ed essere competitivo sul mercato, deve avere una squadra organizzata in modo tale da garantire qualità e tempi di consegna concordati. Inoltre, si deve tener conto che la motivazione è l’elemento che fa muovere l’individuo molto in anticipo perché si lega all’aspettativa di come si svolgerà la prestazione. L’aspettativa, su come si potrà svolgere la prestazione, rischia di sabotare quest’ultima prima ancora che si realizzi; per di più inconsciamente, se ci si aspetta di trovare dei problemi o delle difficoltà a lavorare con un collega (ad esempio), sarà facile che l’atteggiamento tenuto (nel modo di parlare, nel fare raccomandazioni continue su eventi del passato, il dare per scontato quello che sta per avvenire) porti effettivamente a una prestazione non semplice, non veloce, non subito corretta proprio per dimostrare “di aver ragione” a essere diffidente.

L’aspettativa di trovarsi di fronte a una “situazione pesante” spegne la motivazione rendendo il tutto ancora più lento e costoso. Altresì, se il datore di lavoro sta contrattando una commessa, sapendo che la consegna comporterà chiedere uno sforzo maggiore agli stessi dipendenti con cui ha avuto incomprensioni nel passato, finirà per rinunciare ad accettare o ad accettarle a prezzi inferiori. Così, invece di generare maggior ricchezza e alimentare un sistema premiale e motivante, l’azienda rischierà di compromettere equilibrio tra ricavi e costi. Pertanto, si può dire che più la “motivazione a lavorare bene” è forte, più difficilmente questi aspetti riusciranno a inficiare sul rendimento.

La soddisfazione di portare a termine il lavoro, e averne il riconoscimento, alimenta la motivazione ad affrontare una nuova commessa. In una squadra di lavoro, è necessario che ognuno abbia una propria motivazione individuale per effettuare bene la prestazione, ma è altrettanto necessario che la comunicazione sia chiara sull’obiettivo da raggiungere e sui tempi e i modi di farlo. Certo, nelle lavorazioni a catena, non è facile individuare i momenti di fine della lavorazione e avere la soddisfazione del lavoro ben fatto: in questi casi il feedback arriva in altri modi. Il mercato che continua a chiedere il prodotto sicuramente è un riconoscimento.

​Altra riconoscenza deve arrivare dalla titolarità attraverso investimenti sulla persona (e non solo sugli strumenti di lavoro) perché ritenuta “preziosa” e da “coltivare” attraverso la formazione personale o tecnica: è utile ricordare che la formazione delle soft skill (leadership, team building, comunicazione efficace, problem solving) aiuta le relazioni in ambito lavorativo che incidono sulla qualità della prestazione di tutti, riduce i costi aziendali e migliora le performance.
© Gente in Movimento - riproduzione riservata

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