Già dai primi minuti de “La Grande Scommessa” si capisce il taglio del regista: McKay è arrabbiato, divertito e al tempo stesso terrorizzato da quello che già conosce e cioè che le scellerate scelte delle banche americane di inizio millennio sui mutui subprime, avrebbero causato in pochi anni un buco finanziario in grado di inghiottire le vite, i sogni e soprattutto le case di quasi 10 milioni di americani.
Le sue emozioni escono in un turbine preciso, ma frammentato dall’intreccio di sottotrame dei personaggi del film: eroi e al contempo antieroi, né buoni né cattivi, menti brillanti che al momento giusto si accorgono che la bomba ad orologeria del crack finanziario è a pochi mesi di distanza.
Squali di Wall Street che guadagnarono miliardi con una puntata quanto mai azzardata: una scommessa contro il mercato immobiliare americano.
Il cast è stellare e la recitazione ai massimi livelli, in un film dove non c’è un ruolo leader, o meglio, il ruolo leader è diviso in quattro: Christian Bale, Steve Carell in un’altra prova sublime dopo l’eccezionale interpretazione di Foxcatcher, Brad Pitt e Ryan Gosling.
La grande scommessa riesce a raccontare una storia di banchieri, di mutui, di tassi fissi e variabili, di assicurazioni e di speculazioni finanziarie come se fosse un film di azione; tra telefonate al fulmicotone, riunioni incalzanti e un ritmo altissimo, si riprende fiato soltanto durante le scene in cui è infranta la quarta parete.
Vista la complessità dei temi trattati è stato usato un piccolo escamotage: i protagonisti infatti introducono piccoli camei di personaggi famosi (Margot Robbie, Selena Gomez, Anthony Bourdain tra gli altri) che rivolgendosi direttamente agli spettatori spiegano i passaggi più oscuri.
È forse questo l’anello debole del film, l’unico. Soprattutto quando diventa palese che queste scene non siano lì per scelta stilistica o di regia ma per paura che il pubblico sia troppo stupido per capire.
Alla fine non si è soddisfatti, perché i cattivi (le banche) non perderanno. O comunque lo faranno in piccolissima parte. Ed allora anche la vittoria dei nostri antieroi diventa amara, senza lieto fine: non c’è nessun responsabile che paga per quello che è successo. Nel terzo atto, uno dei protagonisti sconsolato ci spiegherà come “daranno la colpa agli immigrati e ai poveri”.
Ma è questa la vera forza del film: McKay vuole aprirci gli occhi e farci ricordare i fatti di una storia recente che forse non avevamo bene capito, senza addolcirci la pillola, senza compromessi. E riesce nel suo intento intrattenendoci alla grande.
A cura di Marco Melino