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La giustizia europea per la salvaguardia ambientale

18/1/2021

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Gli operatori del diritto militano per la diffusione dell’informazione sulla Giustizia e della sua applicazione a livello europeo.
L’Unione europea e le sue istituzioni non sono  solo economia ma anche Giustizia, e di Giustizia, ahimé, se ne parla ben poco. Eppure la Giustizia è il nostro pane quotidiano, quello che regola ogni nostra azione! è partendo da questa constatazione che noi, operatori del diritto, “militiamo” per la diffusione dell’informazione sulla Giustizia e della sua applicazione sia a livello nazionale che a livello europeo. Il diritto è infatti, sempre di più, quello tra gli strumenti principali della nostra Europa che potrà  contribuire concretamente alla realizzazione dei nostri ideali per costruire una società migliore. 

Questo breve articolo tratterà dunque dell’’attività della Corte di Giustizia Europea (in abbreviato CGUE) che con una recentissima sentenza, precisamente del 20 novembre 2020, ha condannato l’Italia per avere violato il diritto dell’Unione sulla qualità dell’aria ambiente e, più precisamente, per avere superato, nel proprio territorio, i valori limite applicabili alle concentrazioni di particelle PM10 e ciò in maniera sistematica e continuata tra il 2008 e il 2017, mettendo dunque in pericolo la salute del cittadino. Dunque in tre parole: Giustizia-Ambiente-Salute del cittadino!

Prima di esaminare il caso concreto, va premesso che appare sempre più incisiva, nell’Ordinamento giuridico nazionale, l’attività della Corte di Giustizia Europea, che ha il compito di interpretare il diritto dell’Unione Europea, facendo sì che lo stesso venga applicato nello stesso modo in tutti i Paesi membri. La CGUE si pronuncia sui casi ad essa proposti.

I tipi di casi più comuni riguardano i seguenti aspetti:

1. interpretare del diritto (pronunce pregiudiziali) - i tribunali nazionali degli Stati membri devono assicurare la corretta applicazione del diritto dell’UE, ma se un giudice nazionale è in dubbio sull’interpretazione o sulla validità di una normativa dell’UE, può chiedere chiarimenti alla Corte;

2. assicurare il rispetto della legge (procedure d’infrazione) - questo tipo di misure viene adottato nei confronti di un governo nazionale che non rispetti il diritto dell’UE. Possono essere avviate dalla Commissione europea o da un altro paese dell’UE. Nel caso in cui il paese si dimostri inadempiente, è tenuto a porvi rimedio immediatamente, altrimenti rischia una seconda procedura, che potrebbe comportare una multa;

3. annullare atti giuridici dell’UE (ricorsi per annullamento) - se ritengono che un atto dell’UE violi i trattati o i diritti fondamentali, il governo di uno Stato membro, il Consiglio dell’UE, la Commissione europea o, in taluni casi, il Parlamento europeo, possono chiedere alla Corte di annullarlo;

4. assicurare l’intervento dell’UE (ricorsi per omissione) - in talune circostanze, il Parlamento, il Consiglio e la Commissione devono prendere determinate decisioni. In caso contrario, i governi dell’UE, altre istituzioni dell’UE e, a certe condizioni, anche i privati cittadini o le imprese possono rivolgersi alla Corte;

5. sanzionare le istituzioni dell’UE (azioni di risarcimento del danno) - qualsiasi cittadino o impresa i cui interessi siano stati lesi da un’azione o omissione dell’UE o del suo personale può citarli davanti alla Corte.

Sotto il profilo degli effetti, anche le sentenze della Corte di Giustizia hanno efficacia vincolante, diretta e prevalente sull’ordinamento nazionale, così come confermato anche dalla Corte Costituzionale italiana con sentenze nn. 168/1981 e 170/1984.

Nel 2014, la Commissione europea ha avviato un procedimento per inadempimento (cfr. supra, n. 2) nei confronti dell’Italia in ragione del superamento sistematico e continuato, in un certo numero di zone del territorio italiano, dei valori limite fissati per le particelle PM10 dalla direttiva “qualità dell’aria”.

Secondo la Commissione europea, infatti, da una parte, dal 2008 l’Italia aveva superato, nelle zone interessate, i valori limite giornaliero e annuale applicabili alle concentrazioni di particelle PM10, e, dall’altra, non aveva adempiuto l’obbligo di adottare misure appropriate al fine di garantire il rispetto dei valori limite fissati per dette particelle nelle zone interessate.

Ritenendo insufficienti i chiarimenti forniti, la Commissione ha proposto dinanzi alla Corte un ricorso per inadempimento. Nella sentenza pronunciata il 10 novembre 2020, la Corte, riunita in Grande Sezione su domanda dell’Italia, ha accolto il ricorso.

In primo luogo, per quanto riguarda la censura attinente alla violazione sistematica e continuata delle disposizioni della direttiva “qualità dell’aria”, la Corte ha rilevato che, dal 2008 al 2017 incluso, i valori limite giornaliero e annuale fissati per le particelle PM10 sono stati regolarmente superati nelle zone interessate. 

Inoltre, la Corte sottolinea che, una volta che, come nel caso di specie, tale constatazione è stata accertata, è irrilevante che l’inadempimento risulti dalla volontà dello Stato membro al quale è addebitabile, dalla sua negligenza, oppure da difficoltà tecniche o strutturali cui quest’ultimo avrebbe dovuto far fronte, salvo stabilire l’esistenza di circostanze eccezionali le cui conseguenze non avrebbero potuto essere evitate nonostante l’uso della massima diligenza. Nella specie, l’Italia non è riuscita a fornire tale prova.

In secondo luogo, la Corte ha ritenuto ugualmente fondata la censura relativa alla mancata adozione di misure adeguate per garantire il rispetto dei valori limite fissati per le particelle PM10, in quanto, in caso di superamento di detti valori limite dopo il termine previsto per la loro applicazione, lo Stato membro interessato è tenuto a redigere un piano relativo alla qualità dell’aria che risponda ai requisiti di detta direttiva, segnatamente a quello di prevedere le misure adeguate affinché il periodo di superamento di tali valori limite sia il più breve possibile. 

Orbene, nella specie, la Corte dichiara che l’Italia non ha manifestamente adottato, in tempo utile, le misure in tal senso imposte, dato che il superamento dei valori limite giornaliero e annuale fissati per le PM10 è rimasto sistematico e continuato per almeno otto anni nelle zone interessate e che, nonostante il processo inteso a conseguire tali valori limite, in corso in Italia, le misure previste dai piani per la qualità dell’aria sottoposti alla Corte, sono state previste solo in tempi estremamente recenti. 

Peraltro, mentre   l’Italia   riteneva   indispensabile disporre di termini lunghi affinché le misure previste nei diversi piani relativi alla qualità dell’aria potessero produrre i loro effetti, la Corte osserva, al contrario, che un siffatto approccio si pone in contrasto sia con i riferimenti temporali posti dalla direttiva “qualità dell’aria”, sia con l’importanza degli obiettivi di protezione della salute umana e dell’ambiente, perseguiti dalla direttiva medesima.

Alla luce delle riportate osservazioni, la Corte ha accolto il ricorso della Commissione, condannando l’Italia anche al pagamento delle spese.

Questa sentenza, come molte altre che ci riserviamo di proporvi nei nostri prossimi articoli, rappresenta un esempio concreto di tutela del cittadino che l’Europa della Giustizia tenta di garantire.

A cura di Maria Paola Cherchi e Sandro Palana.
© Gente in Movimento - riproduzione riservata

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