L’assegno divorzile è stato oggetto di evoluzione giurisprudenziale a partire dalla sentenza n. 11490/1990 pronunciata dalla Corte di Cassazione a Sezioni Unite, fino al mutamento determinato dalla sentenza n. 11504/2017 emessa dalla Prima Sezione della medesima Corte e, infine, alla pronuncia a Sezioni Unite n. 18287/2018.
La richiamata sentenza n. 11490/1990 individuava il parametro di riferimento in ordine all’adeguatezza-inadeguatezza dei mezzi del coniuge ed alla possibilità-impossibilità di procurarseli nel “tenore di vita” analogo a quello avuto in costanza di matrimonio o che poteva legittimamente e ragionevolmente fondarsi su aspettative maturate nel corso del matrimonio stesso.
Una svolta giurisprudenziale è stata rappresentata dalla sentenza n. 11504/2017. I Giudici di legittimità hanno evidenziato come il giudizio sull’assegno divorzile sia distinto di due fasi il cui oggetto è costituito, rispettivamente, dall’eventuale riconoscimento del diritto (fase dell’an debeatur) e, solo all’esito positivo di tale prima fase, dalla determinazione quantitativa dell’assegno (fase del quantum debeatur).
La Corte ha ritenuto che il parametro del “tenore di vita”, se applicato anche nella fase dell’an debeatur, collida con la natura stessa dell’istituto del divorzio e con i suoi effetti giuridici: con la sentenza di divorzio il rapporto matrimoniale si estingue sul piano non solo personale ma anche economico-patrimoniale, a differenza di quanto accade con la separazione personale.
Con la sentenza n. 11504/2017, quindi, l’adeguatezza-inadeguatezza dei mezzi del coniuge e la possibilità-impossibilità di procurarseli sono state rapportate al parametro dell’autosufficienza economica.
Pertanto il Giudice deve verificare, nella fase dell’an debeatur, se la domanda di corresponsione dell’assegno soddisfa le relative condizioni di legge (mancanza di mezzi adeguati o, comunque, impossibilità di procurarseli per ragioni oggettive), con esclusivo riferimento all’indipendenza o autosufficienza economica; quest’ultima deve essere dedotta dal possesso di redditi di qualsiasi specie e/o di cespiti patrimoniali mobiliari ed immobiliari, dalle capacità e possibilità effettive di lavoro personale e dalla stabile disponibilità dì una casa di abitazione. Il Giudice, poi, deve tener conto, nella fase del quantum debeatur (che può avere luogo soltanto all’esito positivo della prima fase) di tutti gli elementi indicati dalla norma (condizioni dei coniugi, ragioni detta decisione, contributo personale ed economico dato da ciascuna alla conduzione familiare ed aita formazione dei patrimonio dì ciascuno o di quello comune, reddito di entrambi), anche in rapporto alla durata dei matrimonio, al fine di determinare in concreto la misura dell’assegno dì divorzio.
Tuttavia, la pronuncia n. 11504/2017 ha lasciato aperto il dibattito circa l’individuazione di un chiaro parametro alla stregua del quale valutare concretamente l’autosufficienza economica o meno del coniuge richiedente.
Pertanto, la Corte di Cassazione a Sezioni Unite, con la sentenza n. 18287/2018, ha sancito che, al fine di stabilire se, ed eventualmente in quale entità, debba riconoscersi l’invocato assegno divorzile, il giudice: procede alla comparazione delle condizioni economico-patrimoniali delle parti; qualora risulti l’inadeguatezza dei mezzi del richiedente o l’impossibilità di procurarseli per ragioni obiettive, deve accertarne le cause, alla stregua dei parametri indicati dall’art. 5, comma 6, prima parte, l.div., ed acclarando se quella sperequazione sia, o meno, la conseguenza del contributo fornito dal richiedente medesimo alla conduzione familiare ed alla formazione del patrimonio comune e personale di ciascuno dei due, con sacrificio delle proprie aspettative professionali e reddituali, in relazione all’età dello stesso ed alla durata del matrimonio; infine, l’assegno dev’essere quantificato in misura tale da garantire all’avente diritto un livello reddituale adeguato al contributo sopra richiamato.
La funzione assistenziale, perciò, si compone ora di un contenuto compensativo (valutazione di una possibile rinuncia da parte del coniuge più debole ad opportunità professionali-lavorative) e perequativo (indagine circa il contributo apportato dal coniuge richiedente al reddito familiare e dell’altro coniuge), che tiene conto non solo del raggiungimento di un’autonomia economica tale da garantire l’autosufficienza ma, in concreto, ad un livello reddituale adeguato al contributo fornito nella realizzazione della vita familiare.
E’ evidente che l’interpretazione da ultimo fornita dalle Sezioni Unite della Corte di Cassazione in merito al diritto all’assegno divorzile ed alla sua quantificazione non potrà che avere un effetto dirompente non solo sull’interpretazione dell’art. 5, comma 6, l.div. ma anche sul piano processuale: da un lato, infatti, spetta al coniuge richiedente selezionare i fatti da allegare e provare al fine di vedersi riconosciuto il diritto all’assegno divorzile; dall’altro, a seguito della richiesta di scioglimento o di cessazione degli effetti civili del matrimonio, compete al Giudice l’indagine sulle scelte effettuate dai coniugi in costanza di matrimonio.
A cura di Elisa Fea.