La domanda sembra retorica, perché anche i nostri nonni sapevano che molto dipende dalle quantità di cibo (e di calorie) che ognuno di noi assume giornalmente. Del resto, già 500 anni fa Paracelso scriveva “è la dose che fa il veleno”: uno slogan che anche oggi qualunque medico di base, intellettualmente onesto, può ricordare ai propri pazienti.
Filosofia spicciola a parte, il problema non è però di poco conto. Tanto da far accendere i riflettori della cronaca e aprire un dibattito nelle sedi istituzionali europee, che nel 2020 dovrebbe portare a una nuova regolamentazione a beneficio di una corretta informazione per tutti noi consumatori.
Nel Vecchio continente, da sempre all’avanguardia sul fronte della sicurezza alimentare e la tutela dei cittadini, l’inizio della disputa risale al 2011 con l’obbligo, previsto dall’Unione europea, di indicare i contenuti nutrizionali sui cibi pre-confezionati. Una norma pensata per informare, appunto, e non condizionare le scelte dei consumatori, che tuttavia ha aperto la strada a una serie di provvedimenti varati in ordine sparso da alcuni Stati membri.
Primo fra tutti la Gran Bretagna, che cinque anni fa ha introdotto la cosiddetta “etichettatura a semaforo” con i tre colori verde, giallo e rosso. Un sistema che classifica gli alimenti in modo generico in base al contenuto di grassi, sale e zuccheri.
Nel 2016 è stata la volta della Francia che ha adottato l’etichettatura “Nutri-score”, seguita da Belgio, Svizzera, poi Spagna e ora Olanda.
Un altro escamotage che prevede una scala di colori e lettere (dalla A alla E) per classificare gli alimenti in base al loro contenuto di ingredienti ‘buoni’ (fibre, frutta) o ‘cattivi’ (grassi, zuccheri), ma che di fatto scredita molte produzioni di eccellenza dell’agroalimentare made in Italy, Dop e Igp, dai formaggi ai prosciutti, all’olio extravergine di oliva, che prevedono ricette e sistemi di trattamento certificati dall’Italia e dalla stessa Unione europea.
La portata del contendere è enorme anche sul piano economico. La multinazionale Nestlé, ad esempio, ha annunciato a mezzo stampa che entro il 2019 l’etichetta nutrizionale a “semaforo nutri-score” comincerà ad apparire sui propri prodotti a marchio. Questo a partire da Francia, Belgio e Svizzera, dove le autorità sanitarie nazionali già raccomandano il bollino che classifica gli alimenti con questo sistema.
Nel frattempo, a seguito di un’iniziativa di Federalimentare, il Governo italiano sta per consegnare alla Commissione europea una controproposta al “Nutri-score” denominata “Etichetta a batteria”. La quale prevede di considerare non gli alimenti presi singolarmente, ma la loro incidenza all’interno di una dieta giornaliera, articolata in porzioni, dove si possono misurare energia, grassi, grassi saturi, zuccheri e sale.
Un sistema di “lettura” e di contabilità dei quantitativi di alimenti che ognuno di noi può assimilare senza problemi. Che è poi alla base della Dieta mediterranea riconosciuta Patrimonio dell’Unesco.
La Dieta mediterranea e il modello italiano si basano del resto sulla piramide alimentare, che in linea di principio non esclude alcun cibo, ma ne indica le quantità consigliate in modo da proporre una dieta varia e soddisfacente per il palato, equilibrata sul piano nutrizionale.
Il sistema “a batteria” è il risultato di due anni di lavoro scientifico portato avanti da istituti e ricercatori indipendenti, come l’Istituto superiore della Sanità, il Consiglio superiore dell’Agricoltura e il Crea, coordinato dai ministeri della Salute, degli Esteri, delle Politiche agricole e dello Sviluppo economico. Il sistema è supportato, inoltre, da uno studio sul campo commissionato all’Università della Luiss. Un’indagine condotta su un campione di famiglie italiane che, interpellato sul gradimento del Nutri-score francese e la “batteria” italiana, ha risposto di preferire senza dubbio la seconda.
La battaglia “culturale” in ambito europeo è già aperta. Sostenuta in parallelo dalla richiesta del nostro mondo agricolo di rendere obbligatoria l’indicazione d’origine per tutti gli alimenti, freschi e trasformati.
Intanto nei giorni scorsi Federalimentare, a un incontro organizzato all’Ambasciata italiana a Berlino, ha auspicato di “avere al nostro fianco l’industria alimentare tedesca, come anche quella degli altri Paesi europei, per evitare di creare un grave danno al nostro settore, senza ottenere al tempo stesso alcun vantaggio per la salute dei cittadini”.
Il presidente dell’associazione, Ivano Vacondio, ha rincarato la dose osservando che “se l’approccio dirigistico del Nutri-score e delle etichette a semaforo prevarrà su quello informativo italiano della batteria nel sistema di orientamento visivo del consumatore sulla salubrità degli alimenti, ciò potrebbe rappresentare per il comparto in Italia un danno superiore anche a quello causato dai dazi nelle guerre commerciali ingaggiate dagli Usa”.
Sicuramente in Europa, ma anche in Italia, abbiamo bisogno di tanta educazione alimentare. E per quanto mi riguarda l’ho già detto a più riprese: noi siamo contro i Nutri-score che condizionano, e non informano, i consumatori.
La lotta all’obesità, che rappresenta un fenomeno in aumento e quindi un problema sociale, va contrastata del resto a partire proprio da una corretta informazione: semplice e trasparente, ma fondata su basi scientifiche e che informi noi consumatori senza condizionare le nostre scelte d’acquisto.
Per questo mi auguro si arrivi a breve a un’armonizzazione delle norme europee. Ci sono già risposte per soddisfare le necessità di piccole e grandi aziende. Il Parlamento Ue, che mi vede schierato in prima linea nelle commissioni Agricoltura e Bilanci, farà chiaramente la sua parte per tutelare la salute di tutti i cittadini e chi produce alimenti di qualità, nel rispetto dell’ambiente.
A cura dell’On. Paolo De Castro.