La storia è la canonica, ma rivisitata in chiave maggiormente fantasy.
C'era il rischio di un opera kitsch, priva di spessore e a tratti troppo scontata, invece Guy Ritchie ha fatto l'ennesimo miracolo. Dopo Sherlock Holmes prende un’altra icona inglese, King Arthur, e ne ridefinisce anima e corpo, trasformandola in un’epica storia fantasy cupa e magica. L'inizio colpisce veramente nel segno, in una scena dalla grande potenza visiva e sonora in cui assistiamo alla potenza evocativa della magia del mago Mordred, stregone tanto potente da creare tre archetipi giganteschi a forma di elefanti, temibili fortezze viventi cariche di soldati celti, pronti ad assaltare Camelot. Ovviamente l'entrata in scena di Uther Pendragon (il padre di Artù) interpretato da un convincente Eric Bana porta lo scontro ad un altro livello perché lui ha il potere della spada. In una scena epica e magica in cui finalmente viene mostrato cos'è veramente Excalibur.
La storia si sposta sul tradimento di Vortiger, un Jude Law in stato di grazia, che tradisce Uther con l’ausilio della magia e diventa il nuovo Re.
In un’ottima climax di montaggio e narrazione non lineare Ritchie - che firma anche la sceneggiatura - costruisce la storia reinventandola, Arthur viene cresciuto in un bordello, in cui si destreggia, costruendo con il tempo la sua gang di strada. L'ottimo montaggio ci fa attraversare la gioventù del nostro, fino a che non compare nei panni di Charlie Hunnam, volto che incarna perfettamente il primo Arthur, quello cafone e sprezzante.
Il film ha un ritmo sostenuto, che viene valorizzato dagli attori, e in cui i comprimari hanno un importanza fondamentale. Da Astrid Berges-Frisbey, maga oscura e anonima, che però si rivelerà di importanza assoluta, a Djimon Housou, alias Bedivere, un moro rimasto celato, dopo che Uther è stato ucciso. Poi Aidan Gillen, (il Ditocorto di Game Of Thrones), alias qui Grasso d'oca, ottimo arciere e sicario.
L'estetica del film è ottima, con una resa visiva di armi ed armature che denota cura nel dettaglio. Una cosa che un po’ spezza il ritmo è la durata, forse leggermente troppo lunga. Ma è anche vero che la storia ha un respiro ampio, e il confronto con Vortigern arriverà solo alla fine.
In tutto questo la musica è parte fondamentale, una colonna sonora strumentale, che accompagna la vicenda con ballate celtiche e cavalcate quasi rock, oltre a un paio di pezzi vocali perfetti, composti per l'occasione.
Il regista strizza l'occhio al pubblico più contemporaneo, abituato a una comunicazione fatta di messaggi veloci e dal forte impatto, prediligendo la potenza dell'immagine e dell'ambientazione sonora a quella dell'accuratezza e dell'approfondimento storico, riuscendo a confezionare un prodotto finale che molti troveranno forse esagerato (cosa che in effetti è), ma perfettamente funzionale al suo scopo: intrattenere, affascinare e travolgere lo spettatore, in puro stile Guy Ritchie.
A cura di Federico Rosa