· allineare la tassazione di questi soggetti alle società di capitali (infatti l’Iri avrà la stessa aliquota dell’Ires pari al 24%);
· Incentivare la “patrimonializzazione” di queste aziende attraverso il reinvestimento degli utili.
Fino al 2016 ai fini dell'imposizione diretta i redditi prodotti dalle società di persone ed imprese individuali erano imponibili per trasparenza all’Irpef anche se non fossero stati prelevati dall’imprenditore o dai soci. Con l'Iri, invece, si istituisce un doppio binario: la parte di reddito non distribuita viene tassata con l’Iri al 24%, la parte di redditi che viene invece prelevata rimane soggetta all'aliquota Irpef di competenza, tendenzialmente più elevata.
Tuttavia dietro a questa presentazione che sembra mostrare solo luci compaiono alcune criticità, in particolare la poca attrattività che avrà per molte imprese.
In primo luogo emerge un problema di tipo contabile: molti dei soggetti interessati sono attualmente in contabilità semplificata; al fine di accedere all’Iri dovranno adottare un sistema di contabilità ordinario, notoriamente più oneroso, affinché possa emergere dalle scritture contabili l’utile effettivamente prelevato.
Tuttavia anche al netto di questa difficoltà “tecnica”, si evidenziano dei casi in cui la nuova Iri non è conveniente e crea possibili iniquità a sfavore degli imprenditori più poveri.
La prima caratteristica che deve sussistere per rendere conveniente la tassazione con l’Iri è che la percentuale di utile non prelevata sia rilevante. Questo comporta che saranno perciò esclusi quei contribuenti che hanno un reddito basso a cui non possono rinunciare.
Orbene, l’Iri interesserà quelle poche imprese personali che abbiano un reddito lordo elevato che consente una distribuzione parziale dello stesso. Vediamo quanto è il risparmio.
Ipotizziamo una Snc costituita da due soci al 50% con un reddito lordo complessivo di 200.000 euro, di cui 120.000 distribuito (60.000 euro a ciascun socio).
Senza adozione dell’Iri ciascun socio pagherebbe 36.370 euro di imposta, pari all’Irpef calcolata sul reddito di 100.000 euro, nell’ipotesi che sia l’unico reddito dei soggetti.
Con l’Iri la società pagherà sull’utile reinvestito 19.200 euro di imposta e ciascun socio personalmente 19.270 euro di Irpef sulla propria quota di utile distribuito.
Il risparmio per ciascun socio è di 7.500 euro.
Ora ritengo che la domanda che sorge spontanea è quando, al netto del caso di distribuzione integrale dell’utile, non conviene l’opzione.
La risposta è apparentemente banale, ossia quando l’aliquota media Irpef, comprensiva delle addizionali, sia inferiore al 24% che paga la società.
Questo potrebbe verificarsi nei casi in cui a fronte di redditi più bassi di quelli dell’esempio, il contribuente abbia detrazioni tali da rendere l’aliquota media Irpef inferiore a quella dell’Iri.
Per esempio un imprenditore individuale ha un reddito di 75.000 euro, del quale ne preleva 45.000 euro. Il contribuente ha deduzioni per contributi previdenziali pari a 16.500 euro e spese di ristrutturazione per 50.000 euro (per cui gli spetta una detrazione di 2.500 euro all’anno).
L’Irpef netta calcolata sul reddito di 75.000 (perciò senza opzione per l’IRI) è di 16.155 euro, con un’aliquota media del 21.5%. L’opzione non è conveniente.
Questo significa che conviene sempre fare i calcoli di convenienza in quanto spesso emergono spiacevoli verità.
Quest’ultima considerazione è ancor più importante alla luce dell’attuale incertezza riguardo alla tassazione nel momento della distribuzione dell’utile accantonato.
L’assenza di una disposizione specifica lascia aperta la possibilità che si abbia una tassazione integrale nell’anno di distribuzione. Questo vanificherebbe qualsiasi risparmio d’imposta, anzi comporterebbe un aggravio dovuto ad una doppia tassazione.
Per tale ragione il sottoscritto ritiene che vi sarà un’equiparazione alla distribuzione dei dividendi ad opera delle società di capitali, tuttavia tale considerazione per essere valida necessita di un chiarimento ufficiale da parte dell’Agenzia delle Entrate, al momento non pervenuto.
A cura di Paolo Ferraris