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Inquinamento luminoso, un "acceso" problema

27/8/2015

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Sono molte le forme di inquinamento oggetto di dibattito e preoccupazione quotidiana: dall’inquinamento dell’aria e dell’acqua a quello elettromagnetico, dall’aggressione giornaliera della chimica domestica ai fastidiosi rumori perseveranti e molesti.
Di tutti, l’inquinamento luminoso è quello meno conosciuto, forse anche perché il passaggio dal buio alla luce (elettrica) dei nostri spazi urbani ha solo di recente segnato la vittoria su tante paure e angosce. Infatti è passato ancora poco tempo da quando l’andare di notte da una casa all’altra significava fiaccola o lanterna a squarciare l’oscurità. Prendendo a prestito le parole del sociologo canadese Marshall McLuhan: “La luce elettrica pose fine al regime della notte e del giorno, degli interni e degli esterni. (…) Le auto possono viaggiare di notte, i calciatori possono giocare di notte e si possono costruire edifici senza finestre. In altre parole quello della luce elettrica è un messaggio di mutamento totale”. E di questo passaggio ne manifestiamo ancora adesso lo stupore e molto spesso una strada o una piazza illuminate coincidono con la nostra idea di sicurezza e di bellezza. 
La meraviglia di dominare con uno sguardo le estensioni urbane e non, anche di notte, dona ordine e tranquillità, ma soprattutto genera supremazia verso la natura e verso quanto ancora di sconosciuto essa rappresenta per noi umani. Ma se il progetto urbano dell’illuminazione non è eseguito secondo certe norme, può causare una forma di inquinamento, detto appunto luminoso. Le varie Leggi regionali suggeriscono una progettazione consapevole per incanalare verso la riduzione dei consumi e la salvaguardia dei bioritmi naturali delle piante e degli animali, raggiungendo un miglioramento dell'ambiente e della qualità della vita generale. 
Durante la notte la luce dispersa dalle città, unita allo smog, diventa un enorme diffusore di chiarore, capace di rendere invisibili le stelle del cielo. Ne risulta una notevole quota di luce sprecata che, se direzionata esclusivamente verso l’obbiettivo da illuminare, porterebbe ad un rilevante risparmio energetico, calcolato al 30% circa della bolletta. Non occorre illuminare meno, ma è necessario illuminare meglio, evitando o riducendo la componente di luce dispersa e intrusiva, a favore della luce utilizzata. È proprio con la corretta e calibrata progettazione luminosa che si garantisce sia la sicurezza nella viabilità pedonale e veicolare, sia l’integrità della volta celeste e dell’ambiente. 
Le mappe satellitari della brillanza artificiale del nostro Paese ci mostrano il livello di inquinamento luminoso raggiunto e ci fanno capire che bisogna correre ai ripari, per ovviare alle problematiche ad esso collegate. L’attenta pianificazione dell’illuminazione pubblica e privata e l’adozione di lampade schermate ad alta efficienza capaci di consumi contenuti, costituiscono ormai i punti fermi della progettazione sostenibile dell’illuminazione esterna. Importante, oltre alla dislocazione dei pali di sostegno, è anche la scelta del corpo illuminante, che deve essere dotato di un riflettore direzionato verso il basso, comprensivo di ottica anti-inquinamento luminoso. Una lampada al sodio ad alta pressione da 70 watt è in grado, ad esempio, di operare un risparmio energetico del 44% con una perdita di flusso luminoso calcolabile nel 5% e non avvertita dall’occhio umano. 
Agire secondo linee di risparmio energetico permette di ridurre i costi della bolletta (per l’utente e per l’amministrazione), limita lo spreco dei combustibili fossili necessari ad illuminare inutilmente il cielo, permettendo la percezione del luogo in cui si vive e rispettando i nostri ritmi circadiani. Tutto questo favorirà la riscoperta del paesaggio naturale, che quando non è illuminato artificialmente, presenta una propria brillanza romanticamente incontaminata e quindi non si presenta “buio”. 
L’inquinamento luminoso dà origine a numerose conseguenze e ricadute sulla salute umana e ambientale, senza per altro provocare “disturbi” direttamente riconoscibili. La salute psico-fisica nel lungo periodo viene minata: la troppa luce in ore notturne può provocare dall’insonnia a disturbi della personalità. La luce “sempre accesa” modifica il metabolismo degli esseri viventi (vedi gli allevamenti animali) e può facilmente diventare uno strumento di coercizione e di punizione quando viene usato con l’intento di somministrare sofferenza. 
In esterna realizzare fasce con grande abbondanza di punti luce, ad esempio sul confine di un’area a verde, crea zone molto contrastate tra luce e ombra, costringendo il nostro occhio ad un superlavoro proprio per mettere a fuoco quanto ci circonda, causando contemporaneamente un incremento delle manifestazioni ansiogene. Le fonti di illuminazione producono trasformazioni e danni anche alla vita della fauna selvatica, disorientando i movimenti delle specie migratorie, inducendo deleterie alterazioni tra i cicli di sonno e veglia. Gli animali sinantropici paiono storditi dal prolungarsi all’infinito di un giorno interminabile: merli che iniziano il canto mattutino a notte fonda, colombi e tortore in continuo tubare fino a sera inoltrata. Identica confusione anche per la flora, che percepisce in modo sfalsato la sequenza notte/giorno: se c’è luce artificiale, la pianta continua a svolgere la fotosintesi clorofilliana, dando vita a situazioni di stress. Gli alberi delle città, soprattutto quegli esemplari che si sono visti “piantare” un lampione tra le fronde, denotano quest’eccesso di luce attraverso la persistenza delle foglie anche dopo il normale periodo autunnale. Ovviamente la soluzione non è quella di tagliare gli alberi.
Negli spazi cittadini, oltre all’illuminazione, forniscono una quota di luce aggiuntiva anche i richiami pubblicitari di neon e vetrine: molti regolamenti comunali obbligano lo spegnimento entro la mezzanotte, fatta eccezione per le attività di pubblico soccorso. Per non parlare delle partite di calcio giocate in notturna, con lampade capaci di rischiarare a giorno mezza città, o i fasci roteanti posti a richiamo di locali di divertimento. Gli astrofisici ne chiedono da sempre almeno l’attenuazione, adducendo sacrosante motivazioni di inquinamento luminoso e di disturbo al loro notturno lavoro di ricerca all’interno degli osservatori. 
Le giovani generazioni inurbate raramente hanno potuto rallegrarsi alla vista di un cielo ampiamente stellato, proprio a causa dei chiarori propagati sopra le città e le industrie, capaci di illuminare, sia direttamente che per diffusione, la volta celeste. Ricordo personalmente l’arrivo dell’illuminazione pubblica in alcuni paesi delle Langhe: fino ad allora il passare di casa in casa, alla sera, serbava qualcosa di magico e terrifico al tempo stesso, che lasciava però spazio anche allo scrutare il cielo, predicendo così il clima della giornata successiva attraverso la visione chiara o distorta di certi agglomerati di stelle. Era un nutrimento per lo spirito ed oggi, purtroppo, sono in pochi a potersene cibare. 
Verrà il giorno in cui, per ammirare il cielo stellato, bisognerà recarsi in una sorta di riserva, al cui interno sarà bandita l’illuminazione artificiale non strettamente necessaria. Dal 1992 l'Unesco ha dichiarato il cielo notturno Patrimonio dell'Umanità, ma bisognerà ancora lavorare, affinché altri osservatori astronomici, come la Specola Vaticana, non debbano trasferirsi in Arizona proprio per mancanza di buio nella notte italiana. 

A cura di Francesca Landriani 
© Gente in Movimento - riproduzione riservata

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