Il mondo è in piena rivoluzione industriale, la quarta, e né l’Europa né l’Italia possono permettersi il lusso di restare a guardare.
Gli storici fanno risalire la prima rivoluzione industriale all’invenzione della macchina a vapore nel 1784, la seconda all’introduzione del petrolio e della produzione di massa a partire dal 1870 e la terza alla nascita dell’informatica nel 1970. La quarta, che stiamo vivendo, nasce dalle tecnologie digitali.
La questione è stata al centro del World Economic Forum che si è tenuto a gennaio a Davos, in Svizzera.
Non sarà una rivoluzione indolore. Nel rapporto “Future Jobs” presentato in quell’occasione si prevede che da qui al 2020 l’innovazione tecnologica cancellerà 7,1 milioni di posti di lavoro e ne creerà 2,1 milioni, con un saldo negativo di 5 milioni di posti e un aumento delle diseguaglianze.
Per questo il processo va gestito in tempo. Da mesi a Bruxelles si moltiplicano gli studi di think tank indipendenti e istituzioni comunitarie che analizzano il fenomeno e i ritardi da colmare.
Il 75% dell’impatto economico dell’economia digitale è utilizzato dalle industrie tradizionali ma, ha ricordato l’anno scorso la commissaria UE all’Industria, Elzbieta Bienkowska, solo l’1,7% delle imprese europee fa uso delle tecnologie digitali avanzate e prende in considerazione le nuove opportunità di business, mentre il 41% delle imprese non usa nessuna di queste.
Nell’ultimo Quadro di valutazione dell’innovazione, la Commissione indica che quasi la metà delle imprese manifatturiere europee non ha usato tecnologie di produzione avanzate in passato e non ha intenzione di usarle nel prossimo anno.
In uno studio della società di consulenza Roland Berger si stima che se l’Europa investisse nella quarta rivoluzione industriale 60 miliardi di euro all’anno, fino al 2030, si creerebbe un valore aggiunto di 500 miliardi e ci sarebbero 6 milioni di posti di lavoro in più.
Nell’UE, infatti, c’è un livello di disoccupazione intollerabile, eppure il 40% delle aziende che cerca personale nel settore dell’ICT riferisce di avere difficoltà a trovarlo. Secondo la Commissione, ogni anno abbiamo bisogno di 150.000 esperti di informatica aggiuntivi.
Ma non si tratta solo di una cosa che riguarda gli esperti. In futuro si stima che il 90% dei posti di lavoro richiederà una qualche forma di conoscenza digitale.
Nella sua Strategia europea per la “Digital Industrial Leadership” nel mercato unico digitale la Commissione segnala che circa il 40% dei cittadini UE ha capacità digitali “insufficienti” o inesistenti.
Negli ultimi mesi il Governo, oltre a investire fortemente nella banda larga, ha presentato un piano per l’Industria 4.0.
La Commissione ha suggerito azioni da prendere a livello nazionale e prevede di dedicare alla digitalizzazione e all’industria 4.0 per i prossimi cinque anni 500 milioni di euro, presi dal bilancio per la ricerca Horizon 2020, che si aggiungono ai fondi del Piano Juncker per gli investimenti.
Le opportunità ci sono, ora si tratta di saperle cogliere.
A cura dell’On. Patrizia Toia