Chi sostiene il contrario, aggrappandosi ad alibi ideologici non fa il bene del nostro Paese, della nostra economica, delle nostre imprese e dei lavoratori, e in molti casi (l’esempio del Brennero in questo insegna) nemmeno dell’ambiente.
Sì, perché grandi opere non è necessariamente sinonimo di devastazione ambientale e inquinamento, anzi, le infrastrutture “intelligenti”, costruite in modo sostenibile come previsto dalla rigida regolamentazione europea, porteranno benefici al sistema produttivo, ma anche in termini di riduzione delle emissioni e di sicurezza.
Sembra che questi temi siano particolarmente indigesti per alcuni esponenti politici che, forse, hanno caricato di eccessivo peso ideologico il campo delle infrastrutture, dimostrando a volte di parlare senza disporre dell’evidenza dei dati e delle conoscenze basiche in materia.
Parliamo del tunnel del Brennero, ad esempio: collegamento ferroviario tra Italia e Austria di importanza cruciale per tutto il Paese.
È di poche settimane fa la notizia delle dimissioni di Ezio Facchin a commissario straordinario per promuovere le opere di accesso alla galleria, che ha annunciato di lasciare “a causa dell’assenza di interesse verso il progetto da parte del Governo”.
Possiamo permetterci che tecnici esperti abbandonino progetto importanti per il Paese perché a Roma qualcuno si “disinteressa” alle grandi opere? Io credo di no.
Bloccare la costruzione del tunnel del Brennero sarebbe una sciagura per l’economia e l’ambiente. Parliamo di un’infrastruttura di connessione strategica tra l’Italia e l’Europa che va realizzata per favorire la logistica, ma anche per ragioni di carattere ambientale, perché alleggerirebbe il traffico su gomma in una zona fortemente congestionata, come invocato da anni dai territori interessati.
Ricordo, inoltre, che in ballo ci sono, per buona parte, finanziamenti europei, e che andremmo incontro a penali enormi se interrompessimo il progetto ora, come paventato di recente dal ministro delle Infrastrutture Danilo Toninelli. E io, ribadisco, credo che non possiamo permettercelo.
Altro tema caldo e altra battaglia ideologica: la Tav. Mentre attendiamo tutti di sapere con chiarezza quale sarà l’esito dell’analisi tra costi e benefici, e mentre Lega e M5S litigano all’interno del Governo, l’opera è bloccata e si sta creando un dannoso clima di incertezza, che pesa sulle imprese e sui lavoratori.
Senza dimenticare che, troppo spesso, a pagare le conseguenze della tensione e del vuoto politico sono soprattutto coloro che vivono sui territori, vittime di minacce e intimidazioni, come accaduto di recente a Silvano Ollivier, sindaco di Chiomonte, in Val di Susa, da sempre favorevole alla Tav, che ha trovato ventisei chiodi a quattro punte all’esterno della sua abitazione il giorno della manifestazione di Torino a sostegno dell’infrastruttura.
La Tav è un’opera strategica per l’Italia e un referendum sarebbe inutile: il Governo deve assumersi la responsabilità di decidere. Tornare indietro oggi sarebbe impossibile, perché dovremmo pagare penali ingenti.
Le grandi opere non possono essere gestite a colpi di ideologia, ma vanno analizzate con lo scrupolo dei numeri e con visione strategica. A tale proposito porto un esempio. La giunta regionale che ha governato la mia regione, il Friuli-Venezia Giulia, dal 2013 al 2018, guidata da Debora Serracchiani, ha deciso di non realizzare la Tav sulla tratta Venezia-Trieste.
In quello specifico caso, per ragioni note da tempo e legate anche alla conformazione del territorio carsico, i costi per la costruzione dell’opera avrebbero superato (e di molto) i benefici.
La scelta allora fu quella di preferire il rafforzamento della linea esistente. Era stata la stessa Ue, nella relazione 2018 sulle linee ferroviarie ad alta velocità della Corte dei conti europea, a indicare in modo chiaro che il guadagno, in termini di tempo, che la realizzazione della Tav nella tratta Venezia-Trieste avrebbe consentito, sarebbe stato minimo rispetto ai costi per la costruzione dell’opera.
La scelta della precedente giunta regionale di velocizzare la linea esistente con un investimento di 1,8 miliardi invece di 7,5, è stata quindi ragionevole e corretta.
Tutto questo per dire che, quando si parla di opere che incidono sul futuro del nostro Paese, sulla vita degli imprenditori e dei lavoratori, e quindi delle famiglie, non si può ragionare con finalità propagandistiche, ma con spirito di servizio, serietà e competenza.
A cura dell’On. Isabella De Monte.