TAV, Pedemontana veneta e lombarda, terza variante di valico, Alta Velocità Milano-Venezia/Napoli-Bari, Ponte sullo Stretto, Autostrade del Mare…se qualcuno dovesse valutare la capacità della nostra Nazione di progettare il futuro infrastrutturale e, quindi, di pianificare lo sviluppo futuro, potrebbe pensare che l’Italia sia all’avanguardia. |
Ma allora è veramente un problema italiano quello del deficit infrastrutturale, per esempio rispetto ai paesi del Nord-Europa o, anche internamente, tra nord e sud del Paese? Oppure come sostengono alcuni esponenti del Governo e della maggioranza, l’Italia deve concentrarsi sulla manutenzione dell’esistente e sui piccoli cantieri quasi le due cose fossero in contrapposizione?
Alcuni, caso esemplare è il dibattito TAV, ritengono che, rispetto a quando sono stati ideati, questi progetti non corrispondono più allo stato attuale delle necessità e che quindi è giusto abbandonare quelle iniziative.
Personalmente credo che sia una prospettiva sbagliata quella di analizzare le grandi opere con la lente dello status quo: siamo sicuri che il traffico merci tra Lione e Torino è marginale perché non c’è domanda oppure è marginale perché non c’è un’offerta conveniente?
Penso che se Lindbergh o i fratelli Wright avessero dovuto sperimentare il volo dell’uomo basandosi sull’effettiva richiesta di quel tipo di trasporto non avrebbero speso nemmeno un minuto del loro tempo in questa direzione e invece la loro perseveranza ha cambiato radicalmente la vita dell’uomo per cui l’invenzione, l’innovazione hanno anche il fine di tracciare nuove vie da percorre per avvicinarsi al futuro.
Ci sono stati periodi del secolo scorso, il secolo della modernità, in cui l’Italia ha rappresentato anche culturalmente questo anelito verso la modernità (Futurismo, boom economico, Design) ottenendo visibilità, prestigio internazionale e successo economico. E sempre questa modernità era caratterizzata dal concetto di “Movimento” dal “Marciare per non marcire” di dannunziana memoria, all’auto per la famiglia della fine degli anni ’50, fino al rampantismo degli anni ’80 dove l’uomo di successo si muoveva tra aerei e macchine supersportive.
Negli ultimi anni l’affermarsi del pensiero debole, la visione sempre più normalizzata dell’uomo, la teoria della decrescita felice hanno messo in discussione tutto ciò. La persona deve fermarsi, non è più un esempio chi corre verso l’obbiettivo ma chi riesce a rallentare: il lusso è potersi permettere del tempo da dedicare a sé stessi. Ed è indubbio che in questo si intravvede, almeno parzialmente, anche una giusta visione di una vita che riporti al centro del quotidiano l’Individuo, la Famiglia, la Comunità.
Detto ciò, però, questo non deve essere preso come alibi da coloro che, incapaci di slanci geniali, di spirito innovativo, insomma di saper “cavalcare la tigre”, amano rifugiarsi nella mediocrità, magari elevandola a stile di vita universale per tutti e addirittura a proporla come mantra di un’azione politica.
Ritengo che in un contesto così ampio come quello in cui l’Italia deve ritagliarsi un ruolo centrale, dove esistono potenze tali che, per estensione, ricchezza del sottosuolo, mercato interno, capacità militare, etc., rischiano di offuscarne anche l’esistenza stessa, non si può non guardare alla storica capacità italiana di essere nazione guida, in primis a livello culturale, nel progettare il futuro, nel delinearne il percorso, nell’individuarne le caratteristiche.
Invece sembra che il mantra di chi ha in mano le redini del Paese, non solo politicamente parlando, sia quello di rallentare, di restare immobili, di compulsare quello che fino a oggi è stato il nostro plus. Tutti aspettano di vedere cosa fa Trump, come risponde la Cina, che atteggiamento avrà Putin e come reagirà l’Unione Europea e intano il mondo va avanti facendo sempre di più perdere il ruolo storico dell’Italia in molti campi.
Trasponendo questi concetti in realtà più concrete, credo che i decisori di questa Nazione debbano ritrovare un po’ il coraggio che ebbero i lori Nonni e infischiarsene del contingente, dell’emergenza più o meno reale nel quotidiano e sviluppare una visione più a lungo termine, pensandosi tra 50 anni e non alla “riapertura” di Tokyo o al prossimo giovedì in cui Draghi farà l’ennesima relazione della BCE ed in questo si inserisce anche il ragionamento sull’evoluzione infrastrutturale: l’Italia non può essere meno attrattiva di stati che sono assolutamente meno qualificati e caratterizzati, non può lasciare il primato del turismo a Spagna, Grecia, Francia disponendo di 8.000 km di coste (peraltro) stupende e dell’80% del patrimonio culturale archeologico del mondo.
Non si può disperdere il bagaglio enorme dell’agroalimentare italiano facendosi superare da Paesi che hanno scoperto l’olio di oliva da pochi lustri o credono che il Parmesan sia equivalente al Parmigiano…
Per fare tutto ciò l’Italia deve tonare a marciare, con obbiettivi condivisi sì, ma chiari ed ambiziosi e deve tornare ad assaporare quel piacere di essere “in movimento” verso un Domani che deve sentire sempre più proprio!
A cura dell'On. Marco Osnato.