Il design è un campo che abbraccia molte discipline, tra cui l'architettura, la grafica, l'industrial design… In ciascuna di queste aree, la bellezza può essere interpretata in modi differenti. Alcuni elementi possono contribuire alla percezione di quest’ultima, come ad esempio l'aspetto estetico. Forme armoniose, colori ben abbinati e dettagli curati possono contribuire a creare una sensazione di bellezza. Ma non sempre ciò che risulta essere di bell'aspetto sarà al contempo funzionale e durevole nel tempo. Come sottolinea Bruno Munari in Da cosa nasce Cosa, "Il vero design non ha stile, non ha moda; se l'oggetto è giusto, (nel design non si dice bello) dura sempre". Lo scopo della progettazione non è mai estetico, ciò che è bello, ciò che risalta più di altri oggetti all'interno di un ambiente o di un assetto urbanistico, non è armonioso, non è stato studiato per poter essere ben integrato all'interno di un'unica scena.
Un oggetto di design è progettato con l’intenzione di soddisfare uno specifico bisogno. Il designer, infatti, ragiona per procedure, stabilisce un insieme di operazioni le cui caratteristiche sono determinate da una finalità precisa che deve essere ben chiara a monte del processo. Lo stesso Bruno Munari ci parla di un metodo di progettazione ben preciso suddiviso in 12 parti. Afferma che ogni ricetta utilizzata in cucina racchiude al suo interno un progetto. Il suo metodo, infatti, parte dall’esempio di come cucinare il Riso Verde, facendo una serie di domande che porteranno alla soluzione: la preparazione della ricetta perfetta. Il processo ha inizio partendo dal problema, ovvero, cosa progettare, per poi giungere, dopo una lunga serie di analisi, ad una precisa soluzione, ovvero, il progetto stesso. Fare del buon design significa soddisfare non solo le esigenze tecniche, produttive ed ergonomiche, ma anche tener conto dei bisogni dell'utente o dell'ambiente all'interno del quale stiamo progettando e della qualità dell’interazione. Per offrire una piacevole esperienza d’uso è necessario partire dall’analisi dei bisogni, delle capacità e dei comportamenti umani, plasmando attorno a essi la progettazione e la realizzazione degli artefatti. L’obiettivo del progettista è accertarsi prima dei reali bisogni di chi usufruirà del progetto, per poi analizzarli e soddisfarli. Ma se il design è progettazione funzionale, è definibile arte? Anche in questo caso le ideologie legate all'argomento sono svariate, ogni progettista segue un pensiero personale.
Munari afferma che “Il sogno dell’artista è comunque quello di arrivare al Museo, mentre il sogno del designer è quello di arrivare ai mercati rionali". L’arte è soggettiva, manda un messaggio diverso a ciascuno, si presta alla libera interpretazione. Il design, invece, è qualcosa di oggettivo, manda lo stesso messaggio a tutti, si preoccupa che il pubblico capisca il prodotto e lo sappia utilizzare. Un’opera d’arte, inoltre conserva l’unicità che la contraddistingue; un oggetto di design, invece, non esiste in originale ma nelle sue copie, deve poter essere riprodotto in modo identico su vasta scala e in tempi adeguati al mercato. Ma non sempre le ideologie legate al design sono uguali per tutti. Non di rado, chi si occupa di design ama l'arte e, a sua volta, può anche essere un artista. Lo stesso stilista Martin Margiela affermava che "Gli artisti e i designer hanno gli stessi stimoli, la stessa spinta creativa, a differire è solo l’espressione della loro reazione a questo stimolo". Dal mondo della moda a quello della progettazione di interni, i progettisti osservano il mondo artistico come immensa fonte di ispirazione. Non sempre osserviamo oggetti di design che hanno come unico scopo quello di essere funzionali, spesso questi ultimi contengono un peso sociale maggiore.
Un’opera di design può racchiudere un'ideologia politica, una critica alla società oppure un omaggio. Non sempre ha la pretesa di soddisfare un bisogno, basti pensare al caso dello Spremiagrumi Juicy Salif disegnato da Philippe Starck per Alessi nel 1988. Uno spremiagrumi che non porta a termine il suo dovere, il designer Magistretti ironizzava dicendo “Se si prova a spremere un’arancia, si deve portare il vestito in tintoria”. In un contesto sociale saturo di oggetti innovativi e ben pensati, ricco di spremiagrumi di ogni tipo da poter utilizzare in maniera funzionale, Starck ha progettato un oggetto che non porta a termine il suo lavoro, questo per lanciare una critica sociale alla grande quantità di oggetti tutti uguali presenti sul mercato. Infiniti spremiagrumi che vogliono a tutti i costi differenziarsi a livello estetico ma che hanno lo stesso e identico scopo finale, quindi l'utilizzo dell'uno vale l'altro, la loro unicità diventa insignificante. Philippe Stark stesso ha affermato che Juicy Salif non è uno spremiagrumi, ma un oggetto da conversazione. Un oggetto che ha come caratteristica principale la sua estetica e non il suo utilizzo. Credo che sia questo il momento in cui l'arte e il design si fondono alla perfezione, il momento in cui la ricerca analitica viene contaminata dall'estro e dalla creatività del progettista, d'altronde sono le grandi intuizioni che scrivono la storia.