L’evoluzione legislativa si è mossa con l’intento di rendere sempre più agevole e flessibile il ricorso al contratto a termine, passando da una casistica di ipotesi tassativa, in cui era possibile la sua stipulazione, alla necessaria sussistenza di una causale di carattere “tecnico, organizzativo, produttivo o sostitutivo”, fino all’attuale possibilità di un contratto a termine completamente “acausale”.
Vi sono però alcune limitazioni. In primo luogo non è possibile la stipulazione di contratti a termine da parte di datori di lavoro che non hanno effettuato la Valutazione dei Rischi in applicazione della normativa sulla tutela della salute e della sicurezza dei lavoratori. Oppure l’utilizzo presso unità produttive interessate da cassa integrazione o procedure di riduzione del personale di lavoratori a tempo determinato già in forza e, in ultimo, non può essere utilizzato per la sostituzione di lavoratori in sciopero.
Esiste un limite legale del numero dei lavoratori a termine in forza. In assenza di regolamentazione espressa dalla contrattazione collettiva, tali lavoratori non devono superare la percentuale del 20% del numero dei lavoratori a tempo indeterminato in forza al 1° gennaio dell’anno in cui viene effettuata l’assunzione.
La durata massima del rapporto a tempo determinato tra lo stesso datore di lavoro e lo stesso lavoratore non può superare i 36 mesi. In tale limite massimo rientrano anche i periodi svolti fra gli stessi soggetti, nell’ambito di somministrazioni di lavoro a tempo determinato per mansioni di pari livello e categoria legale.
Nel periodo della durata massima possono intervenire fino a 5 proroghe in costanza di rapporto. Nel caso di rinnovo occorre tenere presente che un contratto con il medesimo soggetto può essere stipulato non prima che siano trascorsi 10, oppure 20 giorni, rispettivamente nel caso in cui il contratto a termine precedente abbia avuto una durata iniziale inferiore o superiore ai sei mesi.
Alla data del termine concordata il rapporto cessa automaticamente, senza necessità di specifiche comunicazioni. Il recesso anticipato non è contemplato dalla normativa; nel caso in cui ciò avvenga la parte recedente è soggetta al risarcimento del danno che, nel caso di recesso da parte del datore di lavoro, viene quantificato in misura pari all’importo delle retribuzioni che il lavoratore avrebbe percepito fino alla naturale scadenza. Nel caso in cui il recesso avvenga per iniziativa del lavoratore, il medesimo potrà essere chiamato a risarcire l’eventuale danno secondo le norme comuni di giurisprudenza.
Un’ultima considerazione relativamente ai costi: questa forma di contratto è soggetta ad un contributo previdenziale addizionale del 1,4% che potrà essere restituito al datore di lavoro in caso di trasformazione del contratto a termine con un contratto a tempo indeterminato.
A cura di Simone Cogno