Le donne hanno pagato il prezzo più alto della crisi pandemica e rischiano di essere le ultime a vedere una ripresa del lavoro. Secondo la Banca d’Italia, l’occupazione femminile nel 2020 è scesa al 49%, oltre 10 punti sotto la media europea del 62,4%. La crisi da Covid 19 ha aggravato le disuguaglianze esistenti. A cura di Chiara Gribaudo |
Dietro tutto ciò ci sono diversi fattori culturali: una concezione ancora patriarcale della donna e dell’organizzazione del lavoro e la carenza di servizi essenziali come gli asili nido. Nella famiglia è quasi sempre una madre a dover mettere da parte i propri progetti lavorativi per prendersi cura dei figli o di un genitore anziano. Questo comporta una maggiore difficoltà a fare straordinari o ad accettare lunghe trasferte lontano da casa. Tra le donne è più frequente accettare lavori di bassa qualità, pagati male e precari pur di rimanere vicino al proprio domicilio. Questo ha fatto sì che molte lavoratrici precarie siano rimaste disoccupate durante la pandemia per la fine del contratto, non potendo beneficiare del blocco dei licenziamenti.
Il lockdown e la didattica a distanza, lasciando i bambini a casa, hanno ulteriormente gravato sulle donne, che rappresentano il 99% dei lavori persi e quasi l’80% delle richieste di smartworking e di permessi covid. Dopo questa breve istantanea, non si può pensare che la parità di genere sia un mero esercizio morale o di stile. Cito due fatti: l’Italia è entrata in inverno demografico: nascono sempre meno bambini, molti giovani mettono su famiglia all’estero e la popolazione invecchia, così sempre meno persone lavorano e pagano le tasse per sostenere una spesa in pensioni e assistenza sanitaria che invece cresce; il secondo è una stima della Banca d’Italia secondo la quale con un’occupazione femminile al 60% avremmo 7-8 punti in più di Pil. Migliorare la partecipazione e la qualità del lavoro delle donne non è solo giusto, ma è un affare per tutti.
Per questi motivi servono leggi e misure come quelle di cui vi parlerò nelle prossime righe. Nell’ottobre scorso il ddl che ho promosso in materia di parità di genere in ambito lavorativo è stato votato all’unanimità in entrambe le Camere, diventando così la legge 162/2021, entrata in vigore il 3 dicembre. Il testo, composto di 6 articoli, agisce su tre piani: trasparenza, sanzioni e premialità. I primi 3 articoli vanno ad aggiornare e integrare il Codice delle pari opportunità.
Alla Consigliera nazionale delle Pari opportunità è affidato il compito di presentare una relazione biennale al Parlamento sullo stato della parità di genere in Italia. Nel Codice vengono esplicitate le situazioni di discriminazione come comportamenti che possono penalizzare il singolo individuo, limitare la sua partecipazione alla vita o alle scelte aziendali oppure bloccare l’avanzamento di carriera. Prima le aziende sopra i 100 dipendenti avevano già l’obbligo di redigere il rapporto di parità.
Tuttavia, mancava una norma che rendesse questi documenti consultabili o verificabili, non si sapeva nemmeno chi facesse la relazione e chi no. Con la nuova legge il rapporto diventa obbligatorio per le imprese dai 50 dipendenti in su e facoltativo per le altre, inoltre sono stabilite le modalità telematiche di trasmissione ai sindacati, alle consigliere di parità, all’Ispettorato e al Ministero del lavoro. L’elenco delle aziende che trasmetteranno questo documento sarà pubblico e consultabile anche dai dipendenti, nel rispetto della privacy.
Il rapporto conterrà salari, organizzazione del lavoro, criteri di selezione e opportunità di crescita. In caso di dichiarazioni mancanti o false ci saranno sanzioni. Per incentivare la riduzione del gap viene introdotta la Certificazione di parità. Un riconoscimento alle imprese che si adoperano per ridurre il gender gap in merito a salari, opportunità di carriera e organizzazione del lavoro. La Certificazione, ottenibile da tutte le aziende, dà accesso a sgravi contributivi dell’1% e garantisce un vantaggio negli appalti. Infine, l’ultimo articolo estende l’applicazione della legge Golfo-Mosca, che impone almeno il 40% di donne nei cda, alle aziende pubbliche non quotate.
La legge 162/2021 è accompagnata da una dotazione di 50 milioni stanziati nell’ultima legge di bilancio. La ripresa dell’occupazione degli ultimi mesi non ha coinvolto le lavoratrici. Se vogliamo una ripresa vera e giusta non basta tornare ai livelli pre-pandemia, gli oltre 240 miliardi che arriveranno con il Pnrr devono essere un’opportunità di rilancio e l’occasione per eliminare le disuguaglianze, per questo il Partito Democratico si è battuto per l’inserimento di clausole occupazionali per giovani e donne. Come emerge dall’ultimo Rapporto Giovani dell’Istituto Toniolo il progetto di avere figli viene spesso rinviato per motivi economici e l’incertezza per il futuro.
Mentre sul piano legislativo sono state avanzate proposte per un congedo paritario obbligatorio per padri e madri, un part time per i neo-genitori con un’indennità che copre il calo di retribuzione e un sostegno allo smart working. Sotto l’aspetto dei servizi occorre migliorare quelli all’infanzia, con la realizzazione di nuovi asili nido e l’introduzione del tempo pieno alla scuola primaria in tutto il Paese. L’adozione di questi provvedimenti e un cambio culturale ridurrebbero il divario italiano con le economie più avanzate e ci consentirebbero di mettere il nostro Paese sui binari di un futuro più felice e fatto di opportunità per tutte e tutti.