Dati che delineano criticità diffuse con cui le imprese italiane dovranno fare i conti: “Occorre un cambiamento di paradigma” spiega Piacentini “nel mondo è sempre più diffuso il modello delle ‘Happy Company’, un approccio innovativo che anche nei mesi più duri della pandemia ha dato ottimi risultati. Perché una ditta felice funziona meglio, è in grado di reagire con maggiore efficacia alle avversità, attira le figure professionali più performanti, fidelizza i propri dipendenti e, di conseguenza, raggiunge risultati migliori anche sul piano economico. Diverse ricerche mostrano come investendo sulla felicità dei propri dipendenti crescano produttività e vendite rispettivamente del 43 e del +37% , e si riduca del 43% il turnover del personale”.
Il tema del benessere aziendale è stato al centro, a fine settembre, della “Settimana internazionale Happiness at work 2020”, organizzata da People 3.0, che ha visto il coinvolgimento di oltre 200 manager di aziende italiane e importanti contributi dall’estero: “La felicità sul posto di lavoro non è un’utopia” commenta Piacentini “né un’esclusiva delle aziende giovani e tech, né tantomeno una diretta conseguenza di benefit costosi erogati a pioggia: ogni ditta può avviare un percorso di trasformazione per migliorare la propria competitività nei mutevoli scenari globali”.
E, magari, intercettare nuovi talenti: come riportato dall’Osservatorio realizzato da OneDay Group, (partner di People 3.0 per la settimana “Happiness at work 2020”), le nuove generazioni vedono positivamente lo smart working: “Per il 70% del campione” spiega Piacentini, “è fondamentale godere di autonomia e orari flessibili: le aziende dovranno abituarsi sempre di più a operare per obiettivi e non in base agli orari di timbratura del cartellino” prosegue Piacentini.
“I manager, nel contempo, dovranno imparare sviluppare l’imprenditorialità personale di ogni dipendente, favorendo la responsabilizzazione e lo sviluppo dei talenti individuali”.
E se il 50% degli intervistati si dichiara entusiasta dello smart working, il 72% ritiene che l’ufficio sia ancora fondamentale, quantomeno come luogo di crescita ed empowerment: “i mesi da febbraio ad aprile ci hanno insegnato che l’ufficio spesso non è indispensabile per svolgere il nostro lavoro” spiega Piacentini “eppure quel luogo continua a mancarci: dal confronto davanti alla macchina del caffè, allo stimolo offerto dai nostri colleghi, alla possibilità anche di apprendere nuove competenze tramite il lavoro di squadra. Una delle sfide che attendono le aziende sarà quello di re-inventare le sedi di lavoro in quest’ottica”.
A cura di Alessandro Pantani.