Accanto a tale notizia il giornale riportava, tuttavia, una serie di opinioni che, pur nel loro esiguo numero, illustrano esaurientemente sia l’incapacità di proporre soluzioni condivise o la frammentazione di svariate soluzioni le une contro le altre armate, la cui unica convergenza è quella che, o di qua o di là, le navi grandi o piccole devono in ogni modo arrivare a Venezia con il loro carico di “ricchezza” turistica, più o meno equamente distribuita, a scapito decisamente del fragile contenitore e del suo ecosistema su cui la Città basa la sua sopravvivenza.
Cose su cui si dibatte da tempo, con la sorprendente novità di tardivi pentimenti come quello dell’ex Sindaco Paolo Costa che si dichiara incompetente sul giudizio dello scavo del più modesto Canale Vittorio Emanuele, ma che a suo tempo era strenuo ed agguerrito fautore dello scavo del più rilevante Canale Contorta.
L’inestricabile bandolo della matassa parte dalla contraddizione di un assioma in cui ciascuno desidera l’irrinunciabile arrivo a Venezia delle Grandi Navi volendolo combinare, contemporaneamente, con l’altrettanto irrinunciabile salvaguardia (ma si può leggere anche stupro) dell’ecosistema lagunare.
Assunto posto a fondamento anche fin dall’inizio dalle possibili scelte del ministro Toninelli, cosa che dovrebbe far inorridire e tremare chiunque nel pensare che il futuro di Venezia possa dipendere da Toninelli, sulla cui competenza si è espresso lapidariamente Arrigo Cipriani. Ad esaminare le varie proposte sul tappeto non c’è via di scampo. Da qualsiasi parte si mettano le Grandi Navi vi sono delle inevitabili conseguenze negative che si riversano sulla Città e sul suo habitat lagunare.
Il progetto Duferco-De Piccoli è obbligato a scavare 2.300.000 metri cubi di fondale alle bocche del Porto di Lido all’interno della Laguna. Strana contraddizione del sostegno che tale progetto ha da parte del Comitato No! Grandi Navi! o “Ambiente Venezia”.
Idem per quello di Boato e associati che non scava, ma si attacca al MOSE ed è costretto, come il precedente, ad intasare il percorso fino alla Marittima di catamarani per il trasporto di turisti, bagagli e rifornimenti.
Progetti invisi entrambi all’associazione internazionale dell’industria crocieristica (Clia) e le compagnie ad essa aderenti che gestiscono le crociere, poiché tali progetti, oltretutto, riducono numero e stazze delle navi proiettate sempre di più ad un gigantismo senza limiti.
Non da meno è l’ipotesi al di là della diga di S. Nicoletto che appare fantascienza a chi conosce un poco la zona, il suo habitat e i suoi fondali. Posizionamenti tutti nel contesto di una fiorente attività turistica (Lido, Punta Sabbioni, Cavallino, Treporti) che li vede come il fumo negli occhi.
Segue la soluzione Marghera con passaggio per il Canale dei Petroli con previsione di ulteriore scavo vicino ad industrie petrolchimiche, o l’arrivo diretto in Marittima con lo scavo finale del Canale Vittorio Emanuele, caro alla Società crocieristica VTP, alla Regione suo Socio, al Sindaco Brugnaro per la tutela dell’indotto e per la tutela di un sicuro bacino elettorale, fino ad arrivare in fondo al negozietto di souvenir dalle parti di S. Basilio o a qualche ristorante cittadino.
In subordine, ma altrettanto deleterio, prevale il sentimento di spostare il disagio da un’altra parte, meno visibile e in un contesto più debole a difendersi dai colossi del mare e della politica. Tutti interessi in verità legittimi ma che mettono in secondo piano, nella visione del guadagno immediato, l’interesse immateriale della salvaguardia di Venezia e la sua conservazione per quanto possibile per le generazioni, gli anni o i secoli a venire.
Quando malauguratamente si verificasse un altro incidente ben più rilevante dell’ultimo occorso, il rammarico, se non il rimorso dei vari protagonisti, correrebbe al pensiero che tutto ciò è successo per far fare, alla fine, un giro in giostra con la visione panoramica di Venezia a dei turisti ignari e incolpevoli.
Chi scrive sarebbe per la soluzione di indirizzare le Grandi Navi verso città che hanno il porto all’esterno e non come Venezia che ce l’ha al suo interno. Questa è stata la sua salvezza nel corso della sua storia millenaria, ora potrebbe essere la sua distruzione.
Se è compito della Politica trovare soluzioni, Trieste potrebbe essere un’ipotesi da programmare progressivamente nel tempo fino a trovare un equilibrio tra le varie istanze di interessi privati e collettivi e la salvaguardia della Laguna. Marghera dagli anni ’70 in poi ha dato un esempio di riconversione non proprio indolore.
Tra le varie competenze che si sono espresse a tale riguardo l’ipotesi Trieste sarebbe fattibile dal punto di vista delle sue infrastrutture già in essere, ma contemporaneamente nei vari messaggi arrivati al Comitato No! Grandi Navi è arrivato anche l’appello di un cittadino che si lamenta che Trieste è già abbondantemente inquinata dalla presenza del suo porto commerciale. Come si vede, rispunta il va bene tutto “meno che nel mio giardino” e che un disagio lo si risolve, ma non lo si sposta. Difficile trovare il bandolo di una matassa così intricata.
A cura di Enrico Ricciardi.