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Gli effetti concreti del “Decreto sicurezza”

16/3/2019

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La necessità di reagire all'indifferenza per fondare una società sulla speranza e non sulle paure.​
Sono passati pochi mesi dall’entrata in vigore del cosiddetto “Decreto Sicurezza”, non è ancora tempo di bilanci ma, certamente alcune considerazioni possono già essere fatte e qualche storia può essere raccontata.

Purtroppo, come avevamo previsto, sulla sicurezza delle nostre città non è cambiato nulla, anzi, proprio in queste settimane, mentre chi dovrebbe occuparsi di contrastare la criminalità si occupa d’altro, essendo permanentemente in campagna elettorale, proprio nella Città Metropolitana di Milano si sono verificati diversi fatti di sangue, come gli omicidi di Basiglio e Rozzano, e continuano a non essere affrontati problemi importanti, come le piazze di spaccio di Rogoredo e di via Gola.

È purtroppo cambiata in peggio la vita di persone povere e oneste che stavano cercando di costruirsi un futuro in Italia.

Penso a chi, dopo una lunga permanenza nel nostro Paese, venendo dalle Filippine e lavorando nei servizi di assistenza alle persone ha deciso di prendere la cittadinanza italiana e dovrà aspettare non più due anni ma ben quattro per vedersi riconosciuta la cittadinanza.

Penso alle persone con permesso di soggiorno che, in queste settimane, sono state messe in strada per la chiusura dei centri e sradicate da contesti in cui trovavano opportunità lavorative, imparavano l’italiano e le regole della nostra convivenza.

Ma soprattutto colpisce il dramma imposto a persone che stanno da anni regolarmente in Italia, lavorano, hanno casa e famiglia a cui il permesso di soggiorno per motivi umanitari non verrà rinnovato perché la cancellazione dei motivi per cui era stato loro concesso ora non lo consente.

Migliaia di persone che vivono integrate in Italia saranno gettate nell’illegalità, senza alcuna colpa e senza alcuna ragione.

Un risultato, quindi, l’ha già ottenuto questa legge disumana che si accanisce su persone colpevoli solo di volersi costruire un futuro; un risultato voluto ed esplicitato: quello di presentare un Paese cattivo, chiuso, dove a chi arriva viene riservato un trattamento che gli rende difficile e faticoso vivere.

Come se potesse bastare questo a spaventare e fermare le partenze di persone disperate che sanno di rischiare la vita attraversando il deserto, mettendosi in mare e sottoponendosi alle angherie dei trafficanti di uomini.

Il tema non è certamente quello di accogliere tutti, tanto più in un tempo in cui gli sbarchi sono molto ridotti ma è che la scelta di trattare così degli esseri umani, di scaricare su di essi la rabbia e il rancore che ogni giorno si coltiva, sta cambiando la nostra convivenza, i nostri valori.

L’idea che sia giusto che umanità, libertà e diritti possano essere scambiati con l’illusione di un po’ più di sicurezza è dannosa, ma soprattutto è pericolosa perché mette in discussione il principio di universalità e di uguaglianza e si aprono così le porte a comportamenti discriminatori.

È per queste ragioni che la manifestazione “People” svolta a Milano sabato 2 marzo 2019 ha un’importanza straordinaria: perché è la risposta democratica gioiosa e festante di chi non ci sta a rassegnarsi a rinunciare alla solidarietà, ai valori di umanità, a vivere in una società in cui si cerca un nemico su cui scaricare rabbia e paure, in cui si vive nel rancore.

Quelle centinaia di migliaia di persone hanno detto che si può reagire ai razzismi e all’intolleranza che non si può più stare zitti di fronte al silenzio con cui si lasciano passare fatti che ormai si ripetono quotidianamente, da Foligno a Melegnano, da Roma a Caserta, senza che ci sia una reazione da parte di chi forse queste spinte razziste e violente preferisce assecondarle piuttosto che contrastarle e condannarle.

In quella straordinaria mobilitazione ci sono tante differenze, tante esperienze concrete, tanti cittadini che hanno in comune un’idea di società aperta, inclusiva, in cui le diversità sono un valore e un’opportunità per tutti.

Il tema non è - come strumentalmente vorrebbe qualcuno, per nascondere le ragioni delle associazioni, dei comitati e dei Comuni che hanno sfilato sabato - “facciamoli entrare tutti”, ma quello di non perdere i nostri valori e fondare una società sulla speranza e non sulle paure, sulla solidarietà e non sul rancore.

Milano ha detto che non c’è solo un popolo arrabbiato e intollerante che segue l’idea del “prima gli italiani”, lo slogan che si usa per giustificare la guerra dei penultimi contro gli ultimi; ma c’è anche un popolo che lavora per unire, che opera per aiutare, che vuole vivere senza paure e che cerca nuovi amici per affrontare le difficoltà e non un nemico al giorno per scaricargliele addosso.

A cura del Sen. Franco Mirabelli.
© Gente in Movimento - riproduzione riservata

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