La storia trae le sue origini qualche anno prima, quando nel 1924 nasce a Parma un comitato formato dai più autorevoli rappresentanti del mondo agricolo parmense, allo scopo di onorare l’opera svolta da Antonio Bizzozero attraverso le due associazioni da lui fondate e dirette: la cattedra ambulante di Agraria ed il Consorzio Agrario Cooperativo. |
La Fondazione Bizzozero nacque con il preciso intento di favorire il progresso agricolo nel campo lattiero caseario, compito che svolse con successo, tanto che dieci anni dopo, era il 26 luglio 1934, i produttori del formaggio chiamato con i nomi di “Parmigiano” e “Reggiano” fondarono il Consorzio Volontario Interprovinciale fra produttori del formaggio “Grana Tipico”.
Il Consorzio nacque da un’esigenza: quella di distinguere il formaggio “grana tipico” da altri che venivano confusi con il Parmigiano Reggiano autentico sui mercati del nord Italia e venivano chiamati impropriamente. Fissarono così le prime regole utili per la marchiatura del formaggio. Da allora la storia del Parmigiano Reggiano è indissolubilmente legata a quella del Consorzio. Ma ancor prima la storia del Parmigiano Reggiano è, fin dalle sue origini oltre nove secoli fa, legata a filo doppio alle genti che abitano quella zona che si snoda lungo la via Emilia da nord-ovest verso sud-est, racchiusa tra gli Appennini e il fiume Po.
E da subito è stata una storia di conoscenza. Infatti per primi i monaci benedettini e cistercensi, con l’osservazione e l’esperienza, escogitarono il modo per produrre un formaggio di lunga durata.
Il tutto in un’epoca, il Medioevo, scarsa di conoscenze scientifiche e tecnologiche ma ricca di osservazione della natura e di grandi capacità creative ed artigianali. Arrivare a produrre un formaggio che durasse nel tempo rappresentò una sfida del “saper fare” e significò valorizzare il latte che le vacche, utilizzate ampiamente nei lavori dei campi, producevano in grande quantità.
È nato quindi un mestiere che è diventato racconto e si è tramandato di generazione in generazione, da casaro a “sotcaldera”, da padre in figlio… E questo “saper tramandare” risulta ai nostri giorni più attuale che mai. Ancora oggi le conoscenze, il “come si fa”, viene trasmesso di gesto in gesto, da maestro a discepolo.
Le scoperte scientifiche e l’innovazione tecnologica non sono rimaste estranee al percorso del Parmigiano Reggiano. Oggi vi sono nuovi attrezzi e strumenti che aiutano a tenere alta la qualità del latte e del formaggio, a conoscere gli alimenti delle vacche, i processi di trasformazione del latte, cosa avviene durante la maturazione nei lunghi periodi di stagionatura.
E tutto ciò è all’insegna della maggiore conoscenza, al miglior servizio dell’uomo-allevatore e dell’uomo-casaro, che applica così al meglio la conoscenza appresa, ma che non può prescindere dal rispetto delle condizioni naturali, di un latte che è trasformato senza alcun additivo. Per fare il Parmigiano Reggiano, oggi come alle sue origini, non si può prescindere dall’abilità artigianale, dalla capacità di interpretare e di adattare le conoscenze e il saper trasformare alle condizioni climatiche e alle stagioni.
In novecento anni di storia del Parmigiano Reggiano, tutti i pilastri della qualità non hanno subito cambiamenti. Gli ingredienti, per esempio. Oggi come nel Medioevo il Parmigiano Reggiano si fa ancora e solo con il latte, con il caglio e con il sale. E ancora l’alimentazione del bestiame, che è rimasta legata ad una razione a base di foraggi e ha impedito l’utilizzo degli insilati per mantenere una lavorazione 100% naturale senza l’aggiunta di additivi. Nella loro storia, gli uomini e le donne del Parmigiano Reggiano sono stati guidati dalle scelte di qualità. Hanno sapientemente conservato le modalità di allevamento e trasformazione tradizionali che hanno quindi esaltato le conoscenze acquisite in secoli, la naturalità e consentono di produrre un formaggio che il mondo invidia, mantenendo un radicamento indissolubile al territorio di origine, dalla pianura alle vallate di montagna.
E il mondo invidia il Parmigiano Reggiano al punto che è indiscutibilmente divenuto il prodotto alimentare più imitato e contraffatto.
Così il ruolo del Consorzio, nato per marchiare e distinguere, si è arricchito di nuove funzioni. Prima di tutto difendere, ormai in tutto il mondo, il marchio e i produttori dalle imitazioni. Il “saper tutelare” diventa fondamentale per proteggere i consumatori di tutto il mondo dai rischi di acquistare prodotti similari ma che sono molto diversi per gusto ed aromi.
Ma allo stesso tempo il Consorzio ha assunto anche la funzione di promuovere la conoscenza del prodotto. Infatti, in un mercato globale, coacervo di culture alimentari differenti, l’affermazione di un prodotto di qualità passa dalla capacità di offrire ai potenziali consumatori gli strumenti e conoscenze per “saper riconoscere” il prodotto nella sua unicità e qualità.