Limiti ai pagamenti in contanti
Una prima criticità nasce dalla necessità di raccordo tra il citato provvedimento de iure condendo e la normativa attualmente vigente in materia di pagamenti in contanti. Com'è noto, l’art. 1 bis dell’art. 49 del D.Lgs. 21 novembre 2007, n. 23 determina la soglia limite al pagamento degli stipendi in contanti per i dipendenti del settore privato fissandola al valore di tremila euro. Tale limite è peraltro valido per qualsiasi altra operazione eseguita in contanti. Nel testo in discussione in Parlamento all’art. 2 commi 1 e 3 viene invece previsto che “il datore di lavoro o committente inserisce nella comunicazione obbligatoria, fatta al centro per l’impiego competente per territorio, gli estremi dell’istituto bancario o dell’ufficio postale che provvede al pagamento della retribuzione, ovvero una dichiarazione di tale istituto o ufficio che attesta l’attivazione del canale di pagamento a favore del lavoratore… il datore di lavoro o committente che trasferisce l’ordine di pagamento a un altro istituto bancario o ufficio postale è tenuto a darne comunicazione scritta, tempestiva e obbligatoria, al lavoratore”.
Dette previsioni appaiono a dir poco decontestualizzate rispetto al sistema fattuale e giuridico in cui si dovrebbero collocare. Alla prima criticità data dall'impossibilità per il datore di lavoro di avvalersi della possibilità di pagamento interamente in contanti, diritto conferitogli da una Legge delle Stato, si aggiungono una serie di perplessità operative che vanno nel senso opposto alla tanto agognata e declamata semplificazione. Infatti, bisognerebbe segnalare sempre con una comunicazione obbligatoria l'eventuale variazione di istituto bancario o di conto corrente. Inoltre, nella gestione pratica di un'impresa possono essere utilizzati diversi conto correnti per il pagamento delle retribuzioni, a seconda della liquidità e delle condizioni finanziarie aziendali. Questa rigidità formale della comunicazione iniziale creerebbe grosse difficoltà operative all'imprenditore, obbligato - nel caso di occasionale incapienza del conto corrente indicato nella CU - ad avventurarsi in giroconti da dover giustificare poi in fase di eventuale verifica fiscale.
Al comma 2 del medesimo art. 2 si Legge inoltre: “l’ordine di pagamento all’istituto bancario o all’ufficio postale di cui al comma 1 può essere annullato solo con trasmissione allo stesso di copia della lettera di licenziamento o delle dimissioni del lavoratore...". Anche in questo caso siamo in presenza di una previsione normativa che, pur se giustificata dal condivisibile obiettivo da centrare, creerebbe non poche difficoltà operative. Infatti, le retribuzioni variano mensilmente anche se di poco (nella stragrande maggioranza dei casi); quindi non basterebbe prevedere l'obbligo di segnalazione al momento dell'assunzione, ma sarebbe necessario introdurre un obbligo di segnalazione mensile della variazione di pagamento, non solo in banca (attività ordinaria) ma anche al sistema del Collocamento. Se questa è semplificazione…!
La Fondazione Studi Consulenti del Lavoro ha approfondito giuridicamente il tema con apposito documento che sviscera ulteriori criticità rilevabili nel testo presente in Parlamento.
In questa sede preme rilevare l'incongruenza del Legislatore che, pur interessandosi a questi fenomeni di elusione normativa che - come visto - sfociano in comportamenti penalmente rilevanti, opera una scelta incomprensibile in materia di somministrazione di manodopera. Sottrarre i fenomeni di illecita somministrazione alla disciplina penale ha determinato la nascita di spregiudicate strutture, appositamente organizzate per somministrare lavoratori pagati con retribuzioni bassissime. Un vero e proprio sfruttamento di manodopera, fattispecie grave perlomeno quanto quella regolamentata dalla proposta di Legge 1041, sopra descritta. Ma questa odiosa situazione, che i Consulenti del Lavoro stanno incrociando purtroppo sempre più spesso nella gestione quotidiana dell'attività professionale, gode di una sorta di impunità. La depenalizzazione della somministrazione illecita di manodopera fa infatti scaturire solo verbali contenenti l'irrogazione di sanzioni amministrative e nient'altro. Sanzioni che neanche scalfiscono le granitiche certezze di chi ha organizzato a tavolino vere e proprie centrali di somministrazione di manodopera a basso prezzo, in violazione ai medesimi articoli della Carta Costituzionale che la proposta di Legge 1041 vorrebbe vedere riaffermati.
Per questo sarebbe necessario, in attesa di ricondurre la somministrazione illecita nell'alveo del diritto penale, coinvolgere nell'illecito anche le aziende che ricevono i lavoratori in somministrazione. Senza escludere l'ipotesi del reato di caporalato nelle situazioni più gravi. Solo così il contrasto di questi fenomeni illeciti avrebbe una grande valenza sociale e restituirebbe alla gestione dei rapporti di lavoro quella dignità fin troppo palesemente violata.
A cura di Rosario De Luca