Parlando di formazione accostata al mondo del lavoro, il primo tipo di rapporto da citare è chiaramente
il contratto di apprendistato. Pur esistendo nel nostro ordinamento tre diverse tipologie di apprendistato, la più utilizzata è certamente quella cosiddetta “professionalizzante”.
Applicabile alle assunzioni di giovani dai 18 ai 29 anni (30 non compiuti), l’apprendistato professionalizzante prevede un periodo formativo di durata diversa in base al titolo di studio e alla qualifica contrattuale da conseguire, con un massimo di tre anni (cinque per i profili di tipo artigiano), al termine dei quali, in caso di esito positivo, il rapporto prosegue come un normale rapporto a tempo indeterminato.
Viceversa, se alla fine del triennio una delle parti non intende continuare il rapporto, può recedere senza bisogno di alcun particolare motivo (cd. recesso ad nutum). È bene ricordare che l’apprendistato è di per sé un contratto a tempo indeterminato, essendo a termine solamente la parte formativa dello stesso. Un cenno di rilievo meritano le agevolazioni contributive relative a questa tipologia di rapporto, in quanto il risparmio in termini di contributi dovuti a INPS e INAIL è veramente notevole.
La formazione dell’apprendista si divide tra base/trasversale e tecnico/professionale. La prima è suddivisa in macrosettori di competenza in relazione all’attività aziendale e proporzionata in base al titolo di studio del lavoratore, può essere totalmente offerta dalla Regione, e riguarda argomenti e materie che possono interessare tutte le attività (es. salute e sicurezza, organizzazione del lavoro, informatica, inglese, ecc…); la seconda, rivolta alle mansioni specifiche che l’apprendista dovrà svolgere in azienda, viene erogata anche durante la vera e propria esecuzione delle mansioni stesse (formazione on the job), direttamente dal titolare o da dipendenti qualificati, e monitorata da un tutor aziendale, secondo gli obiettivi prefissati nel Piano Formativo Individuale, parte integrante e sostanziale del contratto di apprendistato.
Unica deroga al requisito anagrafico è data dalla possibilità, prevista dall’art. 47, c.4, del D.Lgs. 81/2015, di assumere con contratto di apprendistato professionalizzante lavoratori di qualsiasi età percettori di un trattamento di disoccupazione (Naspi), con le stesse caratteristiche sopra descritte, eccetto la formazione di base/trasversale, che si considera come già espletata in virtù delle esperienze lavorative precedenti.
Un altro strumento valido per un primo approccio al mondo del lavoro per i giovani, ma anche una possibilità per i meno giovani per riqualificarsi, è costituito dal tirocinio (o stage, in francese), vere e proprie esperienze formative all’interno di realtà aziendali, finalizzate a favorire l’arricchimento del bagaglio di conoscenze del tirocinante e volte ad agevolare un eventuale inserimento futuro in azienda. Sono distinti in tirocini curriculari, cioè inseriti nei piani di studio delle Università e delle scuole superiori, o dei percorsi di formazione professionale, ed extra-curriculari, rivolti a persone in cerca di occupazione o reinserimento lavorativo, in cui le parti in gioco sono tre: Tirocinante; Soggetto Promotore, cioè l’Ente (Centri per l’Impiego), la Scuola, l’Università o gli altri soggetti autorizzati, che gestisce le procedure iniziali, stipula una convenzione con l’azienda, predispone il Progetto Formativo e monitora lo svolgimento del tirocinio; Soggetto Ospitante, ovvero l’azienda che ospita il tirocinante, designa un tutor e realizza il percorso formativo secondo quanto stabilito nel PFI. Il tirocinante ha diritto a percepire un’indennità di partecipazione, stabilita in almeno 300 euro lordi mensili, ma le Regioni possono fissare anche importi più elevati (in Liguria sono 500 euro) ed è assicurato contro gli infortuni sul lavoro presso l’INAIL, oltre che per la responsabilità civile verso i terzi.
Per quanto riguarda, invece, la formazione delle risorse umane interne, è imprescindibile dedicare ai propri dipendenti e collaboratori la giusta misura di aggiornamento periodico, al fine di valorizzare ogni singolo individuo. Dai profili più bassi a quelli apicali, oltre ad accrescere le competenze personali e professionali del lavoratore, la formazione incrementa la produttività e, da non sottovalutare, la dedizione e l’attaccamento ai valori aziendali, che questi tende a far propri, aumenta l’autostima e la motivazione, e di conseguenza, migliora l’immagine aziendale e la competitività dell’Azienda stessa.
Viviamo ormai in un mondo in cui le esigenze cambiano in modo repentino, la concorrenza è elevata. Una maggiore flessibilità professionale dei dipendenti si può ottenere solo attraverso lo sviluppo e il potenziamento delle risorse umane interne e la capacità di adeguarsi ai mutamenti tecnologici, culturali, sociali è un fattore distintivo e determinante.
A cura della Gianluca Cerqueti.