Mi scuso per la dicitura “gente comune”, che non mi piace, da un lato perché intrinsecamente poco rispettosa verso coloro i quali ne vengono fatti oggetto e, dall’altro, perché presuppone l’esistenza di una categoria di persone superiori, che, in campo alimentare, non pare di vedere più di tanto, oggi come oggi.
Eppure, l’ingrediente principale di questa grande minestra fatta di disinformazione, creduloneria bonaria, ansia più che legittima per la propria salute, freddo calcolo ed interessi mastodontici è proprio rappresentato dalla gente comune, da quelli che guardano la TV mentre mangiano cena, da quelli che vorrebbero dare ai propri figli cose buone e non pericolose da mangiare, ma soprattutto da coloro i quali ritengono di essere molto acculturati sulle tematiche alimentari, ma non lo sono più di tanto.
C’è un modo di dire tecnico, forse un po’ esoterico, rappresentato dalla cosiddetta asimmetria informativa, vale a dire quella particolare situazione per cui non tutte le persone facenti parte di un particolare gruppo hanno la possibilità di agire e prendere decisioni partendo dalle medesime informazioni di base.
Un osservatore molto arguto dei fatti della rete aveva tempo indietro paragonato Internet ad un rubinetto da cui fuoriesce acqua a tre atmosfere per un assetato nel deserto, individuando a mio avviso molto bene il grandissimo limite che ha un fenomeno epocale come Internet e cioè la profusione d’informazioni sempre e dovunque disponibili.
Solo l’aggettivo “epocale” forse riesce a definire l’impatto di Internet nella nostra vita quotidiana, ma, se per certi ambiti la dovizia quasi rovinosa delle notizie che qualunque motore di ricerca può rovesciarci addosso su qualsivoglia argomento è un fatto stupendo, perché può veramente aumentare la cultura degli utenti, in alcuni altri settori questo non è un bene, ma anzi un male molto grande e foriero di pericoli.
Purtroppo, la mancanza di controlli sulle notizie diffuse rende frequentissima la dispersione di informazioni incomplete, superficiali, sentite dire da chissà chi, mai filtrate da qualcuno che abbia titolo per affossare le bugie, ma comunque sempre confezionate nel modo migliore per ottenere il risultato finale desiderato, visibilità, visibilità e ancora visibilità.
La smania di protagonismo affligge molti guru dell’alimentazione di avanguardia, dai cuochi che affollano tutte le reti televisive maltrattando i loro collaboratori e scaraventando le loro creazioni nella spazzatura, ai saggi nutrizionisti che il lunedì magari additano il sale come peggiore assassino del genere umano ed il martedì sono capaci di elevarlo a prodotto salvavita.
Nel mezzo vi è una enorme massa di personal trainer, portatori di filosofie più o meno orientali, vegetariani e vegani che bollano di assassinio i mangiatori di carne o mangiatori di sola carne, che sottolineano la strabiliante varietà di fitofarmaci utilizzati per la frutta e la verdura, dietisti, dietologi, macrobiotici, nonché venditori di diete miracolose capaci di far impallidire gli sciroppi panacea universale dell’iconografia western.
Anche i social network ci mettono del loro, poichè oggi come oggi un sito non è “in” se non ha le icone per segnalare che piace o che non piace, se non viene viralizzato su YouTube o ritwittato su Twitter, nell’immane sforzo di arrampicarsi sempre più in alto nella classifica dei più piaciuti.
Gli antichi romani, quando volevano capire il perché di un qualcosa, erano soliti domandarsi “Cui prodest?”, ovvero “A chi giova?”. Se è vero che vi è una vasta fetta di esperti o presunti tali che vogliono conquistarsi un posticino al sole e quindi spargono a piene mani mezze notizie a volte vere a volte no, in altri casi la paura alimentare ha una finalità molto più sottile, inquietante e determinata, laddove entrano in gioco il denaro e gli interessi economici.
Dietro il mondo alimentare vi sono interessi politici, economici e lavorativi molto grandi ed è giusto che sia così, perché la presenza di questi tre volani ben distinti rappresenta un motore complessivo di grande potenza per tutto il comparto, anche solo partendo dalla banale considerazione che il consumatore potrà rinunciare a qualunque cosa, ma al cibo no.
La pubblicità ed il marketing, che hanno coniato il terrificante termine di “consumatore”, hanno di fatto generato una categoria di cittadini che, come dice il termine stesso, consumano e quindi vengono ad assumere un’importanza vitale per le imprese proprio perché consumano.
Se non lo fanno, intere filiere possono subire dei contraccolpi molto dolorosi, perdere mercati importanti, posti di lavoro, opportunità di crescita, mentre se lo fanno, si entra nei periodi di vacche grasse, gli introiti crescono sia per la Sig.ra Maria che per la grande multinazionale alimentare ed il futuro è subito più roseo.
Il grande caos primordiale dell’informazione, in cui galleggia molto stentatamente il consumatore alimentare, peggiora ancora di più quando la Grande Distribuzione, ormai diventata campo di battaglia di una guerra dei prezzi all’ultimo sangue fra le varie catene, inculca nella testa dei telespettatori dell’ora di cena, con martellante assiduità, concetti basati su controsensi in termini, come per esempio “Alta qualità e prezzo basso”, oppure distorsioni logistiche, come per esempio “Prodotti a Km 0”.
Il povero consumatore, ormai giunto alla frutta e non solo della sua cena, guarda con occhio preoccupato magari l’ultimo scandalo alimentare riportato dall’efficiente inviata, e poi volge un occhio ancora più preoccupato al contenuto del suo piatto, non potendo non domandarsi che diavolo di fregatura gli abbiano appena rifilato a sua insaputa.
D’altra parte si sa, la legalità non alza l’audience, la correttezza non impenna lo share, l’onestà annoia, così disperatamente priva di intrighi, malefatte e furberie.
Lo scandalo invece aiuta molto qualunque giornale o rete televisiva, il male avvince, la scorrettezza paga, la bontà dell’informazione è un optional, laddove sono gli ascolti a farla da padrone e non certo un eventuale tentativo di aumentare la conoscenza alimentare o di rendere più consapevole chi compera cibo per sé e la sua famiglia.
Cultura, conoscenza e consapevolezza sono dei bei concetti, ma un po’ di vecchia e sana ignoranza non guasta.
A cura di Ferruccio Marello