Ma andiamo con ordine, riassumendo le origini e le finalità di questa forma di tutela recentemente ridimensionata.
Il fondo patrimoniale è un vincolo posto nell’interesse della famiglia su un complesso di beni determinati (immobili, mobili registrati o titoli di credito) e costituisce un patrimonio separato la cui funzione è quella di destinare i beni conferiti al soddisfacimento dei diritti di mantenimento, assistenza e contribuzione esistenti nell’ambito della famiglia.
Infatti, i coniugi non possono disporre dei beni che formano il fondo per scopi estranei agli interessi della famiglia né i creditori particolari dei coniugi (per obblighi sorti per scopi estranei ai bisogni della famiglia) possono soddisfare i loro diritti sui beni oggetto del fondo patrimoniale stesso.
Per costituire un fondo patrimoniale occorre essere sposati.
Importante è sottolineare che sui beni oggetto del fondo patrimoniale non è possibile agire forzosamente; i beni ed i frutti rispondono solo per obbligazioni contratte nell’interesse della famiglia. È fatta però salva la buona fede del creditore che ignorava che il debito era stato contratto per soddisfare i bisogni della stessa (art. 170, Codice civile). Infine, laddove il fondo fosse stato costituito fraudolentemente allo scopo di sottrarre beni alla garanzia dei creditori, sarà possibile esperire l’azione revocatoria.
Poiché l’azione revocatoria ha la funzione specifica di ricostituire la garanzia generica assicurata al creditore dal patrimonio del debitore, a norma dell’art. 2740 c.c., e poiché detta azione presuppone solo l’esistenza del debito e non anche la sua esigibilità, potendo la stessa essere esperita anche per crediti condizionati o non scaduti o anche solo eventuali, tanto vale anche per la ricostituzione della garanzia patrimoniale generica che il fideiussore offre al creditore, per l’adempimento dell’obbligazione del debitore principale.
La Corte (da Cass. 18 marzo 1994, n. 2604, sino a Cass. 17 gennaio 2007, n. 966) ha affermato che la costituzione di un fondo patrimoniale è atto a titolo gratuito, non soltanto nell’ipotesi in cui provenga da un terzo o da uno solo dei coniugi, ma anche quando provenga da entrambi i coniugi, non sussistendo mai alcuna contropartita in favore del costituente o dei costituenti.
Ciò che assume rilevanza è la destinazione, implicante sottrazione alla regola della responsabilità patrimoniale generalizzata e globale ex art. 2740 c.c.
Difatti, se l’essenza caratterizzante l’azione revocatoria consiste nel conservare la garanzia patrimoniale, non vi può essere dubbio che la costituzione del fondo in esame, rendendo i beni conferiti non aggredibili dai creditori, se non a certe condizioni (art. 170 c.c.), incida riduttivamente sulla garanzia generale spettante ai creditori sul patrimonio del costituente.
Ma cosa è successo sotto gli occhi di tutti col D.L. 83/2015 senza che, però, si potesse inizialmente percepire l’effettiva portata della nuova norma?
In buona sostanza, fino a ieri, chiunque vendeva un bene, lo donava, costituiva un trust o un fondo patrimoniale, entro i cinque anni successivi all’atto stesso era soggetto alla cosiddetta azione revocatoria, di talché il creditore, azionando un’apposita causa in tribunale, poteva rendere inefficace l’atto stesso, ma solo a condizione che dimostrasse al giudice l’intento fraudolento del debitore (e la consapevolezza del terzo acquirente).
Oggi non è più così. O meglio, il compito del creditore viene enormemente agevolato.
Con la riforma, infatti, la banca o qualsiasi altro creditore non dovrà più agire con l’azione revocatoria, ma il suo pignoramento sulla casa - “pignoramento immobiliare” - potrà andare avanti anche se quest’ultima è stata inserita nel fondo patrimoniale, e senza esserci più bisogno di intraprendere l’azione revocatoria.
La riforma, infatti, stabilisce che, tutte le volte in cui il debitore abbia ceduto un proprio bene (con donazione) o lo abbia inserito in un fondo patrimoniale o in un trust, e lo abbia fatto successivamente alla nascita del credito, il creditore può ugualmente procedere ad esecuzione forzata, e quindi mettere all’asta la casa stessa, anche senza aver ottenuto una sentenza di inefficacia (appunto la cosiddetta revocatoria).
L’unica condizione affinché tale potere del creditore possa manifestarsi è che quest’ultimo trascriva il pignoramento entro un anno dalla data di trascrizione dell’atto di donazione, vendita, fondo patrimoniale o trust.
Facciamo un esempio. Ipotizziamo che Tizio, il 1° febbraio 2016, inserisca la casa nel fondo patrimoniale trascrivendolo nell’atto di matrimonio (come la Legge impone). Il 1° giugno, poi, contrae un mutuo e, dopo breve, si rende moroso. La banca potrà agire direttamente in esecuzione forzata, entro il 31 gennaio 2017, previa notifica dell’atto di precetto, senza bisogno di un’azione volta a revocare il fondo patrimoniale (peraltro, poiché il mutuo redatto con atto pubblico è già titolo esecutivo, non c’è neanche bisogno del Decreto ingiuntivo).
In pratica, la nuova Legge opera un’automatica presunzione di colpevolezza a carico del debitore: presume, cioè, che questi, nell’anno anteriore ai pignoramenti, sia sempre in malafede e agisca sempre allo scopo di frodare il creditore. A prescindere dalla verità.
Che può fare il debitore per difendersi? Qui sta l’ulteriore inghippo della nuova Legge che, non contenta, ha voluto pregiudicare la posizione dei morosi anche sul piano processuale. Al debitore toccherà opporsi al pignoramento immobiliare (con la cosiddetta opposizione all’esecuzione), con tre forti effetti sfavorevoli e disincentivanti:
- innanzitutto dovrà anticipare le spese processuali;
- in secondo luogo, subirà l’inversione dell’onere della prova a suo sfavore: se, infatti, con la revocatoria, era il creditore a dover dimostrare l’intento fraudolento del debitore, oggi è quest’ultimo a doversi difendere e a dimostrare (chissà come) che il fondo patrimoniale, la donazione o la vendita non sono stati posti in essere al solo scopo di frodare la banca;
- col rischio che, nelle more di tale giudizio di opposizione, la casa venga venduta all’asta o, quantomeno, il giudice imponga al debitore di lasciare l’immobile e trovare un’altra abitazione.
A cura di Daniela Pavan