L’Italia è un contributore netto del bilancio europeo, versa quindi alle casse di Bruxelles più di quanto riceve attraverso i fondi comunitari per le Regioni, la ricerca, lo sviluppo e le altre politiche dell’Unione.
Secondo i dati del 2016 lo Stato italiano ha versato 15.715 miliardi di euro, l’anno prima 16.487 miliardi, arrivando a toccare la cifra record nel 2013 con 17.161 miliardi.
Dall’Unione europea, invece, riceve circa 11,5 miliardi. Il saldo pertanto è negativo, con una media calcolata tra il 2013 e il 2016 intorno ai 4,8 miliardi.
I fondi europei si dividono in due categorie: diretti (assegnati direttamente dalla Commissione europea sotto forma di bandi) e indiretti (programmi finanziati sempre dall’esecutivo europeo, ma gestiti a livello locale dalle istituzioni nazionali e dalle Regioni). Attraverso questi l’Italia ha la possibilità di attingere alle sovvenzioni necessarie per lo sviluppo e l’innovazione di ricerca delle imprese.
Al di là delle cifre, quello che preoccupa è la modalità con cui questi finanziamenti vengono erogati e il fatto che le risorse comunitarie sono destinate quasi sempre ai grandi colossi: la complessità oggettiva dei regolamenti europei e l’elevata burocrazia sono i principali fattori che scoraggiano le PMI e startup italiane ad usufruirne.
Non di meno, la gravosità burocratica allontana anche aziende estere dal beneficiare dei fondi indiretti (SIE) per investire in Italia, scegliendo altrove partner internazionali.
Ad oggi la comunicazione con le istituzioni europee non è semplice e non risolve la scarsa conoscenza dei meccanismi di attuazione e di accesso ai programmi cofinanziati dai fondi indiretti.
Molte imprese, soprattutto a gestione familiare, con un basso grado di formazione, sono costrette ad affidare la compilazione dei bandi a costose società di consulenza, creando una condizione paradossale, il cui tentativo di accesso al credito si traduce in un indebitamento.
I bandi sono fuori dalla loro portata, nonostante siano proprio queste a necessitare maggiormente del sostegno finanziario europeo.
È inoltre importante sottolineare che i fondi comunitari raramente finanziano il 100% dei costi del progetto: sono escluse quindi le realtà che non hanno una sufficiente capacità economica per coprire la quota di autofinanziamento.
Non solo riscontriamo difficoltà nell’accesso ai fondi europei, ma inoltre, una volta ottenuti, non sempre siamo in grado di utilizzarli, finendo così a doverli restituire.
L’Italia è purtroppo il fanalino di coda rispetto all’efficace impiego delle risorse europee. Nelle schede informative Small Business Act for Europe (SBA), stando ai dati della Commissione europea, i Paesi membri possono esser raggruppati in tre categorie: in linea con la media UE, al di sopra della media UE e al di sotto di tale media.
L’Italia appartiene a quest’ultimo gruppo, insieme a Austria, Cipro, Grecia, Paesi Bassi, Portogallo e Spagna. Prendiamo ad esempio i ricercatori italiani: una volta che vincono gli ERC, prestigiosi fondi di ricerca, molto spesso decidono di utilizzare i finanziamenti all’estero, dove la burocrazia è meno asfissiante.
Ci troviamo ora in un momento cruciale per la programmazione finanziaria europea in quanto è in discussione il quadro pluriennale finanziario che determinerà l’ammontare e gli indirizzi economici fino al 2027.
È necessario da una parte garantire che la normativa comunitaria, in approvazione presso il Parlamento europeo, dedichi la giusta attenzione alle realtà delle PMI e dall’altra prender parte alla negoziazione di finanziamenti a loro destinati, assicurando una proficua gestione di bilancio.
In concomitanza con questo impegno, assunto dagli europarlamentari della Lega appartenenti alla commissione ITRE, che si occupa di industria, ricerca scientifica e innovazione tecnologica, non deve mancare l’attività sul territorio: incontri ed eventi organizzati per formare e informare gli imprenditori, i ricercatori e tutti i cittadini sugli strumenti finanziari che hanno a disposizione.
In questo modo si potrà evitare il rallentamento dello sviluppo delle nostre imprese italiane, alcune delle quali sono delle vere e proprie eccellenze che tutto il mondo ci invidia.
A cura dell’On. Paolo Borchia.