Un chirurgo pediatra è stato formato per curare altro, malattie acute dei polmoni o dell’addome o dell’apparato urinario o malformazioni, malattie croniche od oncologiche anche complesse, ma nessuno lo ha mai formato per una emergenza da conflitto a fuoco.
Eppure, i miei colleghi dell’ospedale Santobono, dai chirurghi ai radiologi, nei giorni scorsi sono stati chiamati ad affrontare una patologia assai rara, in quanto è giunta alla loro osservazione una piccola bambina di soli 4 anni colpita da un proiettile, come riferivano gli accompagnatori.
In una affollata piazza di Napoli, infatti, un raid aveva colpito per sbaglio anche una bambina che, con la nonna (anche lei ferita ma a un gluteo), passeggiava proprio in quel luogo e in quel preciso momento.
Giunta in ospedale in codice rosso, sono scattate tutte le misure di emergenza. L’iter diagnostico doveva essere rapido e preciso, bisognava dire ai chirurghi dove era localizzato il proiettile, bisognava individuare il percorso che aveva seguito, gli organi che erano stati colpiti, e intanto bisognava monitorare le condizioni generali, tenere sotto controllo le perdite ematiche e prevenire lo shock e le infezioni.
I radiologi sono riusciti a individuare tempestivamente e precisamente il proiettile e a ricostruire il percorso che aveva seguito. Era entrato dalla spalla destra spappolando la scapola, aveva attraversato tutto il polmone di destra, poi, tranciando il corpo vertebrale della sesta vertebra dorsale, aveva attraversato anche il polmone di sinistra e si era fermato vicino a una costola.
L’immagina ecografica del proiettile che si muoveva seguendo i movimenti del respiro della bambina era davvero impressionante.
Avanti a un quadro clinico così grave e complesso, e soprattutto così inusuale, i miei colleghi del Santobono, dagli anestesisti ai rianimatori, dai chirurghi agli pneumologi, hanno fatto qualcosa di straordinario, ma tutto il sistema ha funzionato alla perfezione.
Sono stati chiamati al tavolo operatorio i migliori operatori e anche i cardiochirurghi dell’ospedale Monaldi, i migliori infermieri di camera operatoria, sono state messe in atto dalla direzione sanitaria e dalla direttrice generale tutte le garanzie affinché il personale medico e infermieristico potesse operare al meglio e con tranquillità.
Immaginerete l’assalto dei giornalisti di tutte le testate, che volevano giustamente sapere e informare la città che con il fiato sospeso seguiva le vicende della piccola Noemi, e intanto bisognava garantire tranquillità e riservatezza agli operatori.
È stata estratta una pallottola che gli esperti ci hanno detto trattarsi di un calibro nove incamiciata in acciaio, grande quando l’aorta della bambina, una pallottola micidiale e devastante che per fortuna non è esplosa come avrebbe invece fatto un altro tipo di proiettile, risparmiando così il cuore e il midollo spinale, che altrimenti sarebbero stati dilaniati portando a morte certa la piccina.
Questa precisazione e il decorso che ha seguito il proiettile, evitando cuore e midollo, fa pensare davvero a del miracoloso.
I genitori sono stati affiancati da due psicologhe sin dalle prime ore dopo il ricovero per provare a ricucire
ferite profonde che nessun chirurgo può suturare.
Tutto questo per raccontare un’esperienza straordinaria realizzata a Napoli in un ospedale pediatrico che, pur tra mille difficoltà (il Pronto Soccorso e poi tutto l’ospedale devono far fronte a oltre 100.000 accessi all’anno, sì, avete letto bene, non c’è nessuno zero in più, sono proprio centomila), è riuscito ad affrontare un problema raro e complesso, con competenza e abnegazione, perché quella sera sono state messe a dura prova le capacità tecniche e organizzative, le competenze mediche ma anche fermezza di spirito e di animo, e mentre una parte dell’ospedale stava seguendo un caso tanto particolare, tutte le altre attività nel resto dell’ospedale continuavano alacremente come sempre.
Il caso poi è giustamente salito agli onori delle cronache nazionali con le visite in ospedale delle più alte cariche dello Stato e del Presidente della Repubblica, che ha voluto vedere la piccola Noemi, abbracciarei genitori e ha voluto parlare con i medici e con gli infermieri.
Un giusto tributo alla famiglia ma anche a tutto il personale dell’ospedale, che non sempre riceve tale gratificazioni.
Ecco, questa è una piccola storia che andava raccontata e che dà la chiara misura di come è difficile, ma anche estremamente affascinante, fare il medico a Napoli.
A cura dell’On. Paolo Siani.