È una delle constatazioni che necessariamente ed inevitabilmente saltano all’occhio leggendo i risultati della ricerca compiuta dall’Osservatorio statistico dell’Ordine dei Consulenti del lavoro e presentata al pubblico ed alle istituzioni in occasione del Festival del Lavoro 2016, titolata “Famiglie e mercato del lavoro”, la quale ha posto l’attenzione sulla relazione tra famiglia e mercato del lavoro ed in particolare sulle criticità che impediscono a molti genitori - soprattutto tra le donne - di lavorare, a causa delle difficoltà di conciliare la professione con le esigenze di cura della famiglia, in particolare dei bambini in tenera età.
L’analisi prende l’avvio dall’osservazione oggettiva di un dato di fatto: l’aumento dei single e la diminuzione del tasso di fertilità hanno determinato nell’ultimo decennio una stagnazione delle famiglie con figli e la crescita di quelle senza. Il nucleo familiare classico, costituito da una coppia di figli, pur rimanendo maggioritario in termini quantitativi assoluti, nell’ultimo decennio risulta in flessione, mentre è aumentato in modo consistente il numero delle persone sole.
Un dato che salta tristemente all’occhio, evidenziato nella ricerca di cui sopra, riguarda il fatto che l’Italia è il Paese europeo con uno dei più bassi tassi di occupazione delle donne, sia con che senza figli, nonostante in Italia resistano ancora le reti familiari, soprattutto quelle costituite dai nonni, che consentono alle lavoratrici di conciliare, a costi molto contenuti, il lavoro con la vita familiare. Si tratta di una caratteristica comune nei Paesi del Sud d’Europa, come Spagna, Grecia e Portogallo, ma è legittimo porsi una domanda: per quanto tempo ancora nel nostro Paese resisterà questa disponibilità all’aiuto gratuito, tenendo conto dell’innalzamento dell’età pensionabile che renderà sempre meno disponibili i nonni a supplire alla carenza dei servizi per l’infanzia?
Un altro importante fattore che incide quasi esclusivamente sul tasso di occupazione femminile è rappresentato dal costo del lavoro domestico e per la cura dei figli, normalmente svolto gratuitamente dalle madri e che, invece, dovrebbe essere pagato nel caso la donna decidesse di lavorare. Infatti le donne che guadagnano uno stipendio più alto rispetto alle spese che dovrebbero sostenere per i servizi sostitutivi del lavoro domestico e di cura dei familiari, sono potenzialmente più propense a lavorare, mentre viceversa alle lavoratrici con minori qualifiche professionali, che hanno un’aspettativa salariale più bassa, non conviene lavorare dal momento che il costo dei servizi sostitutivi rischia di essere più alto della propria retribuzione, salvo il già citato caso in cui possano disporre di una rete familiare che si presta a fornire un aiuto gratuito.
Sarebbe prioritario, quindi, ridurre il costo dei servizi di cura per l’infanzia attraverso agevolazioni fiscali e soprattutto con misure di welfare aziendale che prevedano la partecipazione ai costi da parte delle imprese, rivolte innanzitutto alle fasce di lavoratrici con più bassi livelli di reddito.
La ricerca evidenzia che l’Italia è il Paese europeo con il più elevato tasso di inattività femminile: un terzo delle donne italiane tra i 24 ed i 49 anni non lavora e non cerca un’occupazione, a fronte di una media europea estremamente più bassa. Il tasso di inattività delle madri più elevato si riscontra nelle aree del Mezzogiorno, dove ben oltre la metà non lavora e non cerca lavoro, mentre quello più basso si registra nel settentrione, dove il fenomeno interessa solo un quarto delle madri.
L’analisi dei motivi dell’inattività dei genitori consente di comprendere perché non cercano lavoro. Ebbene, il principale motivo di inattività, evidenziato dal 53% delle madri lavoratrici, è costituito dalla necessità di prendersi cura dei figli o delle persone non autosufficienti, anche se solo una quota minoritaria dichiara che non ha cercato lavoro perché i servizi di supporto alla famiglia nella zona in cui vive, compresi quelli a pagamento, (babysitteraggio ed assistenza per gli anziani) sono assenti, inadeguati o troppo costosi. Di conseguenza tale quota di madri inattive residenti potrebbe rientrare nel mercato del lavoro se i servizi per l’infanzia fossero più diffusi e meno costosi.
Da tutto quanto finora detto emerge ben chiaramente che, per promuovere l’occupazione femminile, è prioritario ridurre il costo dei servizi di cura per l’infanzia attraverso agevolazioni fiscali e, soprattutto, con misure più ampie, come quelle di welfare aziendale, che prevedano la partecipazione ai costi da parte delle imprese. Pertanto si fa sempre più pressante la necessità che le imprese, attraverso varie forme di welfare aziendale, contribuiscano in modo significativo a migliorare la vita privata e lavorativa dei propri dipendenti ed a facilitare la conciliazione tra vita privata e professionale.
L’esperienza di tanti anni di relazioni industriali ha ben chiaramente dimostrato che l’implementazione in azienda di sistemi di welfare che permettono una migliore conciliazione tra vita privata e lavorativa diminuiscono l’assenteismo, incrementando così la produttività e l’efficienza organizzativa, e di conseguenza favorendo migliori relazioni sindacali. Se a tutto questo aggiungiamo inoltre i risparmi per aziende e lavoratori introdotti dalla Legge di Stabilità 2016, la messa in atto di azioni di welfare aziendale si trasforma da costo in opportunità per tutte le aziende.
A cura di Bruno Bravi