Questa breve e concisa citazione filosofica di Voltaire è la chiave di volta per distinguere il gastronomo dei giorni nostri dal fanatico del cibo vecchio stile.
Il gastronomo è una figura a tutto tondo, un personaggio che conosce e osserva il cibo da ogni prospettiva, le sue luci e ombre, i primi piani e gli orizzonti.
L’osservazione con i binocoli non basta: qualsiasi insegnamento teorico non integrato con la realtà offusca il campo visivo.
Il gastronomo sa che per regolare la nitidezza delle conoscenze deve avere un tête-à-tête con la realtà enogastronomica.
I viaggi didattici sono per definizione una forma di didattica esperienziale che permette ai “gastronomi in costruzione” di consolidare le basi teoriche e di verificarle laddove esse esistono, utilizzando tutti e cinque i sensi, seguendo le filiere produttive e conoscendo la biodiversità.
I viaggi didattici sono operazioni di completamento e arricchimento durante le quali gli studenti si trasformano in esploratori del gusto, alla ricerca del buono, pulito e giusto.
Queste esplorazioni non possono essere generalizzate: ogni viaggio didattico rappresenta un’esperienza a sé stante.
Lo scheletro organizzativo prevede sempre visite guidate alle produzioni, workshop, degustazioni, momenti conviviali con le comunità, lezioni teorico-pratiche e scambi di idee.
Ma ogni viaggio ha le proprie pagine da riempire di informazioni, analisi, critiche e meraviglie.
È un’esperienza di vita, non solo di formazione gastronomica.
Alla partenza sono richieste in dotazione al gastronomo tanta curiosità, le conoscenze minime di base da mettere in discussione e un bagaglio culturale piuttosto light.
Partire per un viaggio didattico significa attraversare un universo temporale, entrare in un mondo parallelo e vivere per qualche minuto/ora/giorno nuove culture.
Un gastronomo non incontra solo il prodotto, lo condivide e impara a rispettarlo come solo chi lo produce sa fare.
L’esperienza non è mera formazione personale: le memorie vanno collezionate e custodite.
Il gastronomo collabora con il progetto “I Granai della Memoria” nella catalogazione dei saperi da salvaguardare, riportando interviste per permettere a chiunque di usufruire del suo bagaglio di scoperte.
Spesso si incontrano produzioni di nicchia a rischio di estinzione e grazie al progetto Arca del Gusto si può correre ai ripari.
Esso raccoglie i prodotti che appartengono alla cultura, alla storia e alle tradizioni di tutto il pianeta, proteggendo il patrimonio culturale.
Il gastronomo ha quindi il dovere di inserire nell’Arca tutto ciò che ritiene degno di tale posizione.
Le mie “missioni” gastronomiche mi hanno portato in realtà sorprendenti, luoghi che senza ombra di dubbio mai avrei visitato, soprattutto con la modalità avventuriera e lo spirito critico appreso durante gli studi universitari.
Il Molise, che per molti ancora non esiste, si è rivelato un piccolo paradiso paesaggistico ricco di risorse alimentari, un connubio di sapori campani, abruzzesi e pugliesi di terra e mare in pochi chilometri di estensione, colmo di persone e tradizioni vere, intonse, celate, ma che una volta scoperte lasciano a bocca aperta.
Tra le montagne della Valsesia, invece, ho incontrato minuscole nicchie di alpeggio, piccolissime famigliole raggiungibili solo dopo ore di salita e sudore al servizio completo degli animali e della natura.
Formaggi di malga di tutto rispetto prodotti solo come si fa da sempre, né più né meno.
Mungere un capra, seguire le mucche a cavallo e produrre ricotta in tarda sera con le mie mani non aveva prezzo.
Ancor più bello è stato lasciarsi svegliare dal suono delle campane delle vacche la mattina seguente e gustarsi quella ricotta, fresca, accompagnata da pane caldo e marmellata casalinga.
Sono le cose semplici a mozzare il fiato.
Che dire poi della mia impresa in Ecuador?
Dalle Ande all’Amazzonia tra danze tradizionali, pesca di trote, falò nella caldera del vulcano, biciclettate nella foresta, tra pietanze esotiche, colorate, speziate.
Avevo il forte desiderio di cogliere un banana e mangiarla direttamente nella foresta; mi è stato semplicemente detto “a te la scelta” e di fronte a me si sono materializzati otto caschi di banane di diverse varietà cresciute nella medesima foresta.
Mi sono commossa, nessuna era come l’altra.
La bellezza della biodiversità mi ha colpita e affondata.
Un viaggio enogastronomico non è una grande abbuffata, seppure non manchino le degustazioni e i pasti piuttosto abbondanti, ma una grande avventura.
Un’avventura sensoriale che porta a cambiare, volente o nolente, la visione globale.
Ciascun incontro conduce inevitabilmente a una riflessione e di conseguenza ad un arricchimento personale.
Da un viaggio didattico si torna non solo con nuove conoscenze ma anche con occhi nuovi.
Esplorando il gusto se ne conoscono le angolazioni per apprezzarle o, dove necessario, per pensare a un cambiamento.
Serve vedere, toccare per credere, la fiducia non basta.
Alcuni luoghi sono un enigma, altri una spiegazione, altri ancora una rivelazione.
I luoghi sono la chiave di lettura di tutte le culture, comprese quelle enogastronomiche.
In fondo il cibo è un’espressione spontanea delle culture.
A cura di Greta Contardo