I conti sono presto fatti: in concreto ci troviamo a pagare un servizio idrico circa il doppio di quanto potremmo, senza che alcuno provi a migliorare la situazione. Non va meglio nel settore della distribuzione di energia elettrica, dove le perdite di rete sono superiori al 10%: si tratta di un onere che viene indicato regolarmente in bolletta e che viene pagato con rassegnazione, come se fosse impossibile affrontare il tema. Il discorso non è molto diverso nemmeno quando con l’approvazione della legge finanziaria si sente parlare di tagli negli sprechi delle risorse pubbliche: se tutti i tagli annunciati fossero stati effettivi della Pubblica Amministrazione non dovrebbe essere rimasto più nulla.
La situazione, invece, è ancora lì, come sempre. Con l’unica differenza che quando si parla di sprechi di risorse pubbliche tutti, a parole, si dicono pronti a tagliarli, salvo poi lasciare che tutto continui come sempre. Anche in questo caso, pertanto, agli sprechi corrisponde poi un sentimento di rassegnazione che contribuisce a lasciare tutto come si trova. È in fondo la contraddizione della nostra società moderna, che sa essere opulenta fra gli sprechi inutili, senza i quali potrebbe addirittura stare meglio. Una “società signorile di massa”, come è stata definita, nella quale tuttavia qualcun’altro paga il conto, un conto maggiorato per il benessere che noi pretendiamo di avere. In concreto è cambiato il nostro modo di rapportarci ai problemi, anche quando vi sono evidenti implicazioni di carattere etico: lo spreco di un bene comune, infatti, non può essere esaminato solamente dal lato personale perché coinvolge tutta la comunità di riferimento.
Questa torrida estate, tuttavia, si sta caratterizzando per un aspetto nuovo. Sappiamo tutti che c’è una guerra in corso fra due paesi a noi vicini e ne abbiamo cognizione non solo per le notizie diffuse da ogni tipo di media ma anche perché, in concreto, stiamo vedendo un generale aumento dei prezzi. Eppure, anche in questo caso, sembra che la maggior preoccupazione sia quella di mantenere gli attuali stili di vita: nelle relazioni commerciali con i paesi in guerra, infatti, ci importa continuare ad utilizzare i loro prodotti, quali gas e grano. I tempi moderni, infatti, ci consentono di pianificare l’esportazione di grano da paesi in guerra, dove al contempo mandiamo aiuti alimentari alla popolazione.
Poco importa che nei nostri paesi, estranei in concreto alla guerra, gli stessi prodotti, con scelte assai opinabili, vengano utilizzati, quale l’impiego di cereali come combustibile per caldaie o per la produzione di energia. Si fa di tutto perché l’attuale condizione si trascini per chissà quanto tempo: a patto di non sconvolgere le nostre comode vite siamo pronti a tollerare che qualcuno subisca a lungo la mancanza del bene comune per eccellenza e viva un paese senza pace.
Anche in questo caso emerge una sorta di rassegnazione, mista ad una incapacità di affrontare sacrifici per fare adeguati investimenti su di un futuro migliore. In fondo ci stiamo abituando ad una sorte di fossilizzazione delle emergenze con cui conviviamo, a patto di conservare le nostre abitudini, timorosi che investimenti adeguati sul futuro ci sconvolgano il presente.