Benché sin dalle sue origini l’UE abbia ribadito il fondamentale principio dell’uguaglianza tra uomo e donna ed in particolare della parità di retribuzione e delle condizioni di lavoro tra lavoratori e lavoratrici, a 60 anni dalla firma del Trattato di Roma la donna lavoratrice continua ad essere associata a settori lavorativi che tradizionalmente le si considerano confacenti, come l’alimentare e l’abbigliamento, ed è costretta a compiere un difficile percorso di emancipazione professionale per abbattere il cliché delle competenze “di genere” ed incrementare la propria presenza in settori ritenuti d’appannaggio maschile.
L’attenzione delle Istituzioni si è però progressivamente spostata dalla ricerca di una parità essenzialmente economica ad una uguaglianza sostanziale nell’accesso a tutte le tipologie occupazionali ed alla tutela ed assistenza sul posto di lavoro.
Il termine inglese empowerment racchiude in sé l’essenza dello sforzo che oggi siamo chiamati a compiere per rafforzare la fiducia delle lavoratrici nelle proprie possibilità, mediante il conferimento di poteri e responsabilità maggiori a livello lavorativo.
Il miglioramento della condizione lavorativa femminile passa certamente attraverso la riduzione del gender pay gap, ma non può e non deve limitarsi a questo.
Ad oggi in Europa le donne guadagnano in media il 16% circa in meno dei colleghi uomini, e tale asimmetria retributiva si ripercuote anche sull’ammontare delle pensioni, esponendo maggiormente le pensionate al rischio di una vecchiaia in condizioni di indigenza.
La partecipazione delle donne al mercato del lavoro, ed in particolare la possibilità di accesso a livelli dirigenziali o ai processi decisionali, è spesso limitata da quel fenomeno che i sociologi anglosassoni definiscono “glass ceiling”, ossia soffitto di cristallo, per indicare metaforicamente l’invisibile ostacolo che si frappone tra l’avanzamento della lavoratrice verso posizioni apicali e la dominante presenza maschile.
Questa disuguaglianza risulta ancora più irrazionale se si pensa che il 60% dei laureati in UE sono di sesso femminile e, ciononostante, le donne continuano ad essere sottorappresentate in settori come la ricerca scientifica, la politica, l’economia.
Oltre agli stereotipi tradizionali sui ruoli di genere ed alla sottovalutazione delle professionalità femminili, un’ulteriore causa della disparità tra lavoratori e lavoratrici nell’accesso al mondo del lavoro si rinviene nell’assenza di sostegno per le lavoratrici madri, le quali sono spesso costrette ad optare per lavori part-time al fine di conciliare la cura della famiglia con la vita lavorativa, mentre un maggiore utilizzo di congedi parentali da parte degli uomini, una maggiore collaborazione nella gestione della vita domestica, unitamente alla presenza sul posto di lavoro di asili nido e strutture idonee ad ospitare i bambini durante la giornata lavorativa ridurrebbero certamente le difficoltà incontrate dalle lavoratrici.
Non va dimenticato infatti che sempre più spesso le donne vivono la propria gravidanza in maniera non serena, percependo la maternità come un limite o addirittura un vero e proprio ostacolo alla carriera lavorativa.
Credo che quest’ultimo aspetto, insieme alla frustrazione per i mancati riconoscimenti, i frequenti demansionamenti post-gravidanza ed al doppio carico di stress che la lavoratrice moglie e madre subisce ogni giorno, ci diano il polso della sconfortante situazione vissuta dalle donne europee e giustifichino questa mia denuncia di un’ulteriore caso di discriminazione basata sulla differenza di genere.
Come italiana mi rattrista vedere il nostro Paese classificarsi nel 2016 al penultimo posto in Europa per occupazione femminile, seguiti solo dalla Grecia, e con il 12,6 % di disoccupazione femminile; ed ancor più come pugliese constatare il persistere del divario tra Nord e Sud Italia, col Meridione che detiene addirittura il record europeo di non occupate.
Voglio concludere ribadendo la necessità di declinare finalmente anche al femminile il mondo del lavoro, eliminando qualsivoglia ineguaglianza retributiva, nel tipo di mansioni svolte, nell’accesso ai servizi e nella possibilità di avanzamento di carriera.
A mio parere tale risultato potrà essere raggiunto solo valorizzando le innegabili differenze tra uomo e donna e valorizzando tali diversità, senza voler a tutti i costi adattare, o meglio piegare, il tipico modello lavorativo maschile alle peculiarità della lavoratrice donna.
A cura dell’On. Barbara Matera