Uno strumento di democrazia diretta come il referendum può funzionare solo a certe condizioni. In primo luogo, gli elettori devono capire esattamente per cosa sono chiamati a votare, che deve avere rilevante interesse, poi devono fidarsi di chi li invita al voto, e probabilmente queste condizioni non si sono avverate. Su questioni come quelle sollevate dai referendum è compito dei nostri rappresentanti in parlamento decidere.
La democrazia diretta non può sostituire la democrazia rappresentativa, che funziona quando esiste appunto il rapporto di fiducia tra eletti ed elettori. Il problema vero è la disastrosa affluenza alle comunali che si attesta intorno al 54%, percentuale ulteriormente in calo dopo il ballottaggio nei 59 comuni con più di 15.000 abitanti (di cui 13 capoluoghi di provincia) dove nessun candidato sindaco è stato eletto al primo turno e dove l’affluenza si è attestata al 42% circa; sembra quasi un dato accettabile rispetto allo sprofondo referendario, ma sono numeri davvero preoccupanti che confermano una tendenza in atto da tempo.
Da molti anni a questa parte ad ogni tornata elettorale l’affluenza alle urne cala, ma non è un problema solo italiano. Anzi, a ben vedere, in Italia i livelli di partecipazione, dato riferito alle elezioni politiche, sono ancora tra i più alti in Europa. Tra i pochi paesi che stanno meglio di noi c’è la Germania. Tanto per citare un esempio recente in Francia, alle legislative tenutesi domenica 12 giugno ha votato il 47,5% degli aventi diritto. Da noi alle ultime politiche ha votato il 72,9% degli elettori e il pur triste dato del 54% circa alle nostre ultime amministrative è riferito a una percentuale di elettori superiore alle politiche francesi. Questo per mettere in prospettiva il fenomeno. Proviamo ad analizzarne le cause.
Oggi le persone più deboli, non solo dal punto di vista economico, sono anche le più scoraggiate: la politica, paradossalmente anche quella locale, viene vista come una cosa lontana, che non le riguarda. L’elettorato ha valutato l’attuale classe politica di basso livello, di scarsa professionalità, populista, litigiosa e non all’altezza di governare il paese, avulsa dai veri problemi che la gente comune quotidianamente è costretta ad affrontare.
La riprova della mancanza di fiducia nei partiti e nelle persone che attualmente li rappresentano è il successo delle liste civiche, che hanno fatto la parte del leone e che sono state scelte dalla maggioranza degli elettori sia di destra che di sinistra. Pensiamo poi alle persone più anziane e socializzate in tempi in cui partecipare era una abitudine radicata percepita giustamente come un dovere: piano piano escono di scena e i giovani che subentrano nella platea elettorale sono meno interessati alla politica, dalla quale si sentono esclusi e lontani, e tendono ad astenersi. Il crollo della fiducia nei politici e nei partiti, la pericolosa scollatura dalla realtà percepita dalla gente comune hanno generato il crollo della partecipazione. Se i partiti non recupereranno credibilità e capacità organizzativa e se non si affronterà seriamente il tema della educazione alla democrazia la disaffezione nei confronti della politica è destinata a continuare e con essa l’astensionismo