Il titolo è stato atteso per oltre dieci anni, dieci anni in cui il mercato ha vissuto un’evoluzione folle, basti pensare al recente sbarco su Playstation del VR per la realtà aumentata.
C’erano timori legati al fatto che sarebbe stato un gioco troppo ancorato al passato, basato su una vecchia tecnologia. Il buon Fumito Ueda si è sempre dimostrato sicuro della sua creatura e, dopo averlo provato, possiamo dargli ragione.
The Last Guardian è incentrato nella sua interezza sulla storia - sotto forma di flashback - di un ragazzo proveniente da un villaggio sperduto chissà dove, che si ritrova chissà perché in una vallata dalla quale è apparentemente impossibile fuggire. Risvegliandosi in compagnia di una creatura dalle fattezze mitologiche, come evidenziato dalla sequenza iniziale che mostra alcune di quelle realmente esistite nell'immaginario collettivo. Un rapporto destinato ad evolvere nel corso del tempo, perché le vicissitudini dei due protagonisti li porteranno ad una connessione profonda, fino a diventare colonna portante della produzione e ad incidere nelle dinamiche di gameplay.
L'ambientazione è composta da strutture imponenti che si perdono a vista d'occhio, altezze che provocano vertigini al solo sporgere la testa, ostacoli che richiedono ingegno per essere superati. La collaborazione tra i due è quindi fondamentale, perché il ragazzo può muoversi agilmente negli spazi angusti o scalare edifici quando vi sono solamente piccoli appigli, in groppa alla creatura può balzare tra punti molto distanti o difendersi dai pericoli animati che popolano l'ambientazione.
Un titolo che ha il compito di raccogliere l'eredità delle precedenti produzioni di Fumito Ueda, rappresentando la sintesi perfetta delle sue opere. Da una parte c'è l'interazione tra un protagonista così fragile e il corpo colossale del grifone, recuperata da Shadow of the Colossus. Dall'altra l'esplorazione partecipe e curiosa di rovine antiche e incomprensibili, che arriva invece da ICO.
Intrecciandosi in forme nuove questi due elementi avrebbero dovuto dare vita ad un impasto ludico più complesso, dal sapore almeno in parte inedito. Il canone a cui The Last Guardian aderisce, insomma, è quello dei classici giochi d'avventura nati alla fine degli anni Novanta, lasciando alle "scampagnate" sul dorso della grande bestia mangia-uomini un valore più che altro contemplativo. Mentre Trico salta sui costoni rocciosi, sui ponti sospesi e sulle impalcature, capita spesso di rimanere ammaliati dall'estensione impressionante delle architetture, dalla loro indicibile eleganza. Questa sorta di ammirazione estatica in cui ci troviamo all'improvviso, rapiti, non è certo un elemento secondario nell'economia di gioco.
Le proporzioni inconcepibili dei pinnacoli ornamentali, i fragili equilibri delle campate che si allungano sul vuoto, e ancora il rifiorire di dettagli che si accalcano sulle pareti ornate degli edifici in lontananza, colpisce senza preavviso il giocatore, che si sente quasi sopraffatto dall'inebriante bellezza del Nido. Si tratta di una meraviglia architettonica con un'impronta unica, distintiva, in cui confluiscono le geometrie rocciose di Petra, e l'arte votiva dei popoli neolitici, gli archi e le volte del gotico europeo. Di tanto in tanto la bellezza dei panorami di The Last Guardian diventa più fragorosa dei suoi silenzi, fin quasi a generare un brivido leggero, una vertigine, un moto dolce di malinconica euforia. È un gioco che offre vari livelli di sfida e può essere finito in circa dieci ore, ma per viverlo appieno serviranno molte più ore. Ha dei difetti, è pur sempre stato sviluppato e studiato per PS3 e modificato in corso d’opera, non è adrenalinico o assuefacente, ma è poetico nella sua eleganza.
Giocandoci non vi verrà voglia di tirare il pad contro il muro, ma inizierete a desiderare di avere un gatto in versione super extra large con cui lanciarvi in nuove avventure.
A cura di Federico Rosa