Domande che non verrebbero mai rivolte ad uno uomo ma che, nella maggior parte dei casi, diventano prassi quando il selezionatore si trova di fronte una donna, perché l’ostinata convinzione retrograda per cui è sempre quest’ultima a badare alla famiglia e alla cura dei figli è dura da sradicare e continua a tarpare la carriera e le opportunità lavorative di tantissime donne.
Conoscere il background familiare più che la formazione o il percorso di studi diventa la condicio sine qua non della procedura selettiva attuando, senza mezzi termini, una discriminazione di genere per l’accesso al lavoro. Non solo. Rivolgere questo tipo di domande oltre che scorretto è anche illegale, vìola infatti le norme di legge contenute nel Codice delle pari opportunità, nello Statuto dei lavoratori e anche nella Costituzione.
Il Codice delle Pari Opportunità all’articolo 27 prescrive che è vietata qualsiasi discriminazione fondata sul sesso per quanto riguarda l’accesso al lavoro, anche se attuata attraverso il riferimento allo stato matrimoniale, di famiglia o di gravidanza. Dunque, oltre ad essere vietato discriminare per ragioni di genere l’accesso al lavoro, è altrettanto illegale informarsi ponendo domande che riguardano il proprio sesso o la vita privata. Principio chiarito anche dalla Costituzione che, all’articolo 37, stabilisce che “La donna lavoratrice ha gli stessi diritti e, a parità di lavoro, le stesse retribuzioni che spettano al lavoratore. Le condizioni di lavoro devono consentire l’adempimento della sua essenziale funzione familiare e assicurare alla madre e al bambino una speciale adeguata protezione”.
Infine, il diritto a non ricevere domande personali è garantito anche dall’articolo 8 dello Statuto lavoratori che sancisce il divieto al datore di lavoro, ai fini dell’assunzione di effettuare indagini su fatti non rilevanti ai fini della valutazione dell’attitudine professionale.
Il pregiudizio neanche troppo celato da domande di tale calibro nasce dalla convinzione per cui assumere una donna che vuole mettere su famiglia sia un rischio, sia un aggravio di spese e di costi. Nonostante le leggi, l’accesso al lavoro delle donne è sempre intriso di difficoltà, di domande invasive a cui spesso non si ha il coraggio di rispondere a dovere e di denunciare.
Ed è così che molte donne sono indotte a scendere a compromessi, pur di lavorare, pur di dimostrare le proprie capacità in una giungla di discriminazioni che ci costringe a fare il doppio o il triplo degli uomini per affermarsi perdendo di vista che il lavoro è un diritto, oltre che uno scambio di prestazioni. È pertanto da accogliere con favore la proposta avanzata del ministro del Lavoro Andrea Orlando di prevedere una piattaforma per denunce anonime in caso di domande sessiste in fase di colloquio ma è necessario agire anche a monte superando una cultura patriarcale di cui il nostro Paese è ancora profondamente intriso.
Articolo a cura dell'On. Elisa Scutellà