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DL Liquidità: aiuti alle imprese italiane

27/4/2020

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Il Decreto affronta il problema della mancanza di liquidità per le spese correnti, ma non tiene conto dello scoperto connesso alla perdita di fatturato.
Come noto il Decreto Liquidità ha previsto all’art 13 un rafforzamento del Fondo di Garanzia, al fine di estendere al 100% la garanzia sui prestiti fino ad un massimo di 25.000 (25% del fatturato) e al 90%, a cui se ne può aggiungere un’altra del 10% da parte di un confidi, per quelli fino a 800.000 euro per le aziende con un fatturato inferiore a 3,2 milioni di euro.

La misura prevista dal Dl 23/2020 è sicuramente efficace perché affronta un problema tipico di queste fasi di crisi: la mancanza di liquidità per far fronte alle spese correnti, in particolare quelle fisse.

Rimane però scoperto il secondo fronte, quello connesso alla perdita del fatturato, che richiederebbe contributi a fondo perduto, difficili da erogare per un Paese già indebitato come il nostro. Questa tipologia di aiuti (finora limitata all’indennità dei 600 euro dell’Inps) dovrebbe essere contenuta nel prossimo Decreto Aprile, ma alla data odierna (26 aprile 2020) è poco probabile sperare in sostanziosi contributi a pioggia come dichiarato dallo stesso Presidente del Consiglio.

Peraltro, eventuali contributi a fondo perduto non sarebbero in contrapposizione al “Decreto Liquidità”, semmai ne farebbero parte integrante e rafforzerebbero la “potenza di fuoco. Le imprese hanno, quindi, la possibilità di ottenere un prestito con condizioni vantaggiose, sia in termini di tasso (inferiore al 2%), sia in termini di preammortamento (24 mesi). 

Questa è una strada da valutare con attenzione, perché se da un lato è necessario dotarsi degli strumenti per garantire liquidità alla propria azienda, nel contempo non vanno sottovalutati i rischi della scelta.

La procedura, infatti, esclude la valutazione di merito, limitando ad un controllo formale sulla regolarità dei dati, per i micro finanziamenti, e rende più rapida l’istruttoria per quelli di importo superiore; i prestiti avranno, però, un impatto sul merito creditizio dell’azienda nei prossimi anni. 

È, quindi, necessario che da subito le aziende apprendano la necessità di analizzare gli aspetti finanziari del proprio bilancio e le conseguenze di un peggioramento del rating. Occorre cioè aver sotto controllo i parametri previsti nella sezione IX del decreto Mise 12 febbraio 2019 che, in base alla tipologia di impresa e società, determinano i drivers per la definizione del rating (da molto alto a basso).

Le imprese che già oggi si trovano in situazioni di basso rating non possono limitarsi a prendere a prestito del denaro con la speranza, ovviamente condivisa da tutti, di una decisa ripresa economica e produttiva, ma devono valutare azioni compensative. 

I budget devono essere predisposti non con uno scenario ottimistico, ma stimando un’evoluzione economica debole, come già paventato dai principali studi. Occorre, altresì, valutare, azioni per garantire nel medio termine la patrimonializzazione della società, come aumenti di capitale proprio, politiche dei dividendi meno generose, eventuali dismissioni di beni o rami aziendali non necessari al business dell’azienda.

Il punto di forza di questi prestito riguarda i due anni di pre-ammortamento, la cui finalità è quella di consentire alla singola impresa o al professionista di trovarsi nella condizione di generare un reddito adeguato per far fronte al pagamento delle rate, limitando agli interessi il cash flow attuale.

L’obiettivo di avere un reddito positivo e un discreto cash flow tra due anni è, quindi, essenziale perché in mancanza di esso sarà difficoltoso ottenere nuovi prestiti, peggiorerebbe il rating di affidabilità e nei casi più gravi si aprirebbero le porte a situazioni di insolvenza.

Una situazione che allarma sono, infatti, le molte imprese che chiedono la liquidità non per coprire i costi fissi attuali o a quelli necessari per la ripartenza (per i quali esistono anche crediti di imposta come quello per le locazioni o per la sanificazione dei locali), bensì per coprire debiti pregressi di varia natura (commerciale, fiscale). Questo denota che l’azienda era già in crisi di liquidità prima che Covid 19 colpisse la nostra economia e il nuovo prestito è soltanto un palliativo per la situazione esistente e non sicuramente l’antidoto.

Molte aziende hanno peraltro già sfruttato la sospensione delle rate sino al 30.09.2020 prevista dal cc.dd decreto Cura Italia, ma questo impone di aggiornare i propri piani di ammortamento, per non rimanere sorpresi dall’accumulazione delle rate.

Alcune imprese, senza particolari situazioni di crisi di liquidità, possono, al contrario, sfruttare il Dl Liquidità per estinguere debiti pregressi più onerosi in termini di tasso di interesse (per esempio ridurre il fido) ovvero per allungare la durata del debito.

Si segnala che il Fondo di Garanzia utilizza un tasso di accantonamento prudenziale del 30%, stimando quindi un’insolvenza di un’azienda su tre, dato che conferma il timore evidenziato poc’anzi.

Tra le critiche giunte al decreto c’è stato quello di legare l’ammontare del prestito al fatturato, penalizzando quelle con ricavi più bassi, magari perché nate da poco. Si ritiene che, per quanto effettivamente in alcuni casi è una limitazione eccessiva, la logica del Ministero sia stata quella di voler evitare la richiesta di finanziamenti troppo elevati, alimentati dalla garanzia pubblica e dal rischio di azzardo morale insito in queste operazioni. 

Aggiungo, infine, che la Regione Piemonte ha previsto, tramite la società FinPiemonte, un bando di prossima pubblicazione (si stima verso la metà di maggio) per coprire le spese e gli oneri finanziari connessi ai finanziamenti chiesti dalle aziende dopo il 17 marzo. Sarà erogato un contributo a fondo perduto, in funzione dell’ammontare del prestito, a coloro che hanno subito un calo di almeno il 30% del fatturato nel bimestre marzo-aprile 2020 rispetto allo scorso anno. 

A cura di Paolo Ferraris.
© Gente in Movimento - riproduzione riservata

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