Nel predetto capo II trova collocazione l’art. 337 ter c.c., che dispone testualmente al comma 4: “Salvo accordi diversi liberamente sottoscritti dalle parti, ciascuno dei genitori provvede al mantenimento dei figli in misura proporzionale al proprio reddito; il giudice stabilisce, ove necessario, la corresponsione di un assegno periodico al fine di realizzare il principio di proporzionalità, da determinare considerando: le attuali esigenze del figlio; il tenore di vita goduto dal figlio in costanza di convivenza con entrambi i genitori; i tempi di permanenza presso ciascun genitore; le risorse economiche di entrambi i genitori; la valenza economica dei compiti domestici e di cura assunti da ciascun genitore.”
Per quanto concerne le esigenze del figlio, la giurisprudenza è concorde nel ritenere l’accrescimento delle stesse legato alla crescita ed allo sviluppo della personalità del minore, in quanto alle necessità alimentari e abitative si sommano quelle legate alla vita sociale, scolastica e ludicosportiva, che non necessita di prova specifica trattandosi di aumento fisiologico, legato alla crescita (in tal senso, Trib. Velletri, Sez. I, 637/2020).Tra i criteri dettati dall’art. 337 ter, comma 4, c.c., merita poi approfondimento quello relativo alle “risorse economiche di entrambi i genitori”.
La valutazione delle risorse patrimoniali dei genitori, infatti, non può prescindere dall’analisi dei beni mobili e immobili di proprietà degli stessi, oltre che dei redditi da lavoro rispettivamente percepiti. Dovranno, pertanto, essere analizzate non solo le sostanze e le capacità di lavoro professionale o casalingo di ciascun genitore anche potenziali ma altresì il complesso patrimoniale della persona costituito dal reddito e dal valore dei beni posseduti (in tal senso, Trib. Modena, 37/2013).
L’art. 9, comma 1, della L. 898 del 1970 prevede che “Qualora sopravvengano giustificati motivi dopo la sentenza che pronuncia lo scioglimento o la cessazione degli effetti civili del matrimonio, il tribunale, in camera di consiglio e, per i provvedimenti relativi ai figli, con la partecipazione del pubblico ministero, può, su istanza di parte, disporre la revisione delle disposizioni concernenti l’affidamento dei figli e di quelle relative alla misura e alle modalità dei contributi da corrispondere ai sensi degli articoli 5 e 6.”
I Giudici di merito e di legittimità, in particolare, sono stati chiamati a decidere circa la revisione dei provvedimenti in discorso nel caso in cui uno o entrambi i genitori abbiano costituito un nuovo nucleo familiare.
A tal proposito, si evidenzia in primo luogo la lettera dell’art. 6, comma 1, della L. 898 del 1970, che testualmente recita: “L’obbligo […] di mantenere, educare ed istruire i figli nati o adottati durante il matrimonio di cui sia stato pronunciato lo scioglimento o la cessazione degli effetti civili, permane anche nel caso di passaggio a nuove nozze di uno o entrambi i genitori”.
La giurisprudenza, con riferimento tanto al passaggio a nuove nozze del genitore quanto alla creazione di un nuovo nucleo familiare fondato sulla convivenza more uxorio, ha affermato che “la formazione di una nuova famiglia e la nascita di figlio dal nuovo partner, pur non determinando automaticamente una riduzione degli oneri di mantenimento dei figli nati dalla precedente unione, deve essere valutata dal giudice come circostanza sopravvenuta che può portare alla modifica delle condizioni originariamente stabilite” (Cass. civ. 1475/2016).
Per altro verso, è stato, altresì evidenziato che “la nascita di un altro figlio è un fatto volontario, frutto di una libera scelta del genitore ed inoltre, così come avverrebbe in una famiglia unica, l’aumento del numero dei figli non può certo determinare una diminuzione dei doveri di mantenimento rispetto alla prole già esistente” (Trib. Velletri, Sez. I, 17/05/2018).
Quanto affermato dalla citata sentenza del Tribunale di Velletri trova un precedente nella giurisprudenza di legittimità in quanto già la Corte di Cassazione, Sezione I, con la decisione n. 1595/2008, aveva affermato che “Là dove, poi, venga in gioco la misura dell’assegno di mantenimento per i figli, il nuovo impegno familiare non può costituire ragione per un allentamento delle responsabilità genitoriali verso costoro, in quanto la soddisfazione dei diritti economici dei figli non può essere deteriore nella crisi della famiglia, rispetto a quanto avviene nella famiglia unita: sicché, ove il contributo di mantenimento originariamente fissato dal giudice del divorzio sia stato determinato in un importo adeguato alle necessità dei figli, ma inferiore all’esborso che la capacità economica dell’obbligato avrebbe consentito, la richiesta riduzione non può essere disposta.”
Tanto premesso, poiché l’obbligo di ciascun genitore di mantenere, educare ed istruire i figli permane anche in caso di costituzione di un nuovo nucleo familiare, può essere domandata la revisione delle statuizioni contenute nella sentenza di divorzio relative all’affidamento ed al mantenimento della prole solo qualora sia provata la concreta diminuzione delle sostanze o della capacità reddituale del genitore richiedente.
In ogni caso, il Giudice chiamato a decidere sulla modifica delle condizioni di divorzio relative al mantenimento dei figli dovrà procedere al vaglio dei presupposti elencati dall’art. 337 ter c.c. per stabilire la misura del mantenimento del figlio, valutando nel caso concreto le esigenze dello stesso nonché la capacità reddituale e patrimoniale di ciascun genitore.
A cura di Elisa Fea.