Il mondo occidentale mangia, eccome se mangia, anzi potremmo quasi dire che ha fatto dell’alimentazione quotidiana un incrocio fra uno status symbol, un’esternazione culturale e un campo di battaglia mediatico, dove il conflitto fra le parti è feroce e dove nessuno fa prigionieri.
Pare utile parlare di questi argomenti, per almeno due buone ragioni. La prima è che diete e dietologia possono influire pesantemente sulla nostra salute, sia nel bene che nel male, e la seconda è che una dieta non è soltanto un fatto estremamente tecnico ed un atto squisitamente medico, ma è molto di più, cioè è “sociale” nel senso più ampio, onnicomprensivo ed educativo che esista.
Purtroppo è evidente che non va di moda collocare le diete nell’ambito scientifico e medico che ad esse spetta di diritto, mentre invece assistiamo ad un vero e proprio dilagare di un protagonismo mediatico pernicioso, nel cui insieme si muove un magma primordiale informe di guru, aspiranti guru, simmetrie di guru variamente configurati, privi di qualunque forma di controllo e limitazione ed imperversanti su Internet, intenti a spargere sapienza dietologica spicciola a piene mani.
In campo alimentare le cose hanno veramente preso una brutta piega e urge un intervento professionale collettivo, per riportare un poco d’ordine e di scienza in un ambito in cui di scienza se ne vede poca e di coscienza manco a parlarne.
Il terrorismo dietologico alimentare è uno dei più terribili, poiché prende il consumatore e lo manipola a suo uso e consumo, fatto peraltro nemmeno poi così nuovo e stupefacente, dato che troppe volte una cattiva informazione giornalistica ha arrecato gravi danni a svariate filiere alimentari.
In questo caso però, non si tratta più di semplice cattiva informazione da una parte e di un uditorio credulone ed impreparato dall’altra, ma di singoli soggetti estremamente determinati, che scientemente sfruttano l’ignoranza diffusa del consumatore, per aizzare le sue paure e trarne un preciso beneficio economico personale.
La gente ha paura e su questo non ci piove, in un momento della storia della società industriale, in cui la parola “tumore” desta sicuramente più paura di “mafia” o “camorra”, soprattutto se utilizzata in stretta connessione con il termine “alimentazione”.
Del resto è comprensibile, perché le grandi sciagure sono fatti remoti e lontani, la criminalità organizzata chissà perché si trova sempre da qualche altra parte, i rovesci economici internazionali non toccano mai i nostri soldi in banca, ma i tumori quelli no, quelli potrebbero essere nel piatto in cui mangiamo, giorno dopo giorno.
Ecco quindi che l’inquietudine cresce inesorabilmente e serpeggia nella testa di chi spinge il carrello nelle corsie dei supermercati, indirizzando fortemente le scelte alimentari, soprattutto in popolazioni come la nostra, tradizionalmente e culturalmente dedita al buon mangiare e bere.
Se quindi, con una manovra ben congegnata, si riesce a mettere in connessione la prevenzione alimentare con implacabili specchi, che ogni mattina ci restituiscono un’immagine poco benevola dei nostri rotolini di grasso sparsi dove non dovrebbero, il gioco è fatto ed il mercato è pronto.
Dieta. Questa è la parola magica, la panacea universale, l’uovo di Colombo, la quadratura del cerchio per il cittadino medio-stante del terzo millennio, che riemerge troppo spesso da una lunga sequenza di anni, segnati da abitudini alimentari non certo esemplari, con l’unico risultato di poter verificare come prova-costume estiva, se il succinto indumento riesce ad asciugarsi abbastanza in fretta.
Purtroppo il dietologo fai-da-te, pur essendo spesso spietato e senza scrupoli, ha un problema oggettivo, in quanto il suo potenziale cliente è capriccioso, viziato e petulante, laddove chi vuole crearsi un posto al sole deve sgomitare parecchio in mezzo alla folla di alimentaristi rampanti.
Aprire uno studio dietologico, prendere appuntamenti, visitare pazienti, raccogliere tristi anamnesi basate su lunghi cortei di hamburger e torte St. Honorè, ma anche scrivere libri, fare comparsate nei talk-show gastronomici, fino alla vera e propria produzione di cibi per diete speciali è l’obiettivo di tanti, ma le leggi del marketing sono ferree e nessuno può pensare di sottrarvisi.
Una corretta alimentazione indubbiamente può aiutare a prevenire molte malattie anche gravi, così come il contenimento del peso corporeo e l’abitudine ad una vita che comprenda anche movimento fisico e lotta alla sedentarietà sono evidenze oggettive che nessuno può negare.
Ma la moltitudine dei guru non può vendere questi concetti, perché nessuno li compra, risultando di molto favorite le soluzioni miracolistiche, che fanno perdere il peso rapidamente, senza sforzi, senza privazioni e magari anche prendendo qualche pastiglietta, se occorre.
Allora ognuno dei contendenti fa a gara con gli altri per estrarre dal cilindro le argomentazioni più fantascientifiche, a sostegno di un certo regime alimentare (il loro) e contro i regimi differenti (quelli degli altri), mettendo nel mirino ora i cereali, ora i carboidrati, ora i latticini, magari individuando oggi nel caffè uno dei peggiori assassini del millennio, salvo poi a riabilitarlo domani come salvatore delle coronarie, se opportuno.
Marketing, sempre marketing, fortissimamente marketing. A questi personaggi, nulla importa della salute di chi li ascolta, ma solo di quante copie dell’ultimo libro hanno venduto in più negli ultimi due mesi, di quanti passaggi televisivi hanno fatto in prima e seconda serata, di quante visite in studio hanno prenotato per la settimana prossima.
Ecco quindi che chi invece ha a che fare con gli alimenti e li conosce, perché li vede produrre, perché aiuta a realizzarli meglio, perché è un medico vero e soprattutto equilibrato nei giudizi, oppure perché magari li vende, come i farmacisti, ma svolge la sua attività veramente con scienza e coscienza, dovrebbe cercare di partecipare attivamente alla vita pubblica, con pareri scientifici, con ragionamenti autorevoli, con la forza della conoscenza che possiede, con l’attenzione che contraddistingue il suo lavoro di tutti i giorni.
Stiamo parlando di un grande processo di educazione sociale, in cui mettere a punto programmi di comunicazione multidisciplinare rivolti all’utenza, in cui tutte le figure disponibili cooperano insieme attivamente, per fare chiarezza, per prevenire sul serio, per aiutare la gente a vivere meglio e per emarginare e zittire tutte le finte sirene della magrezza facile, che oggi vanno purtroppo per la maggiore.
A cura di Ferruccio Marello