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Dantedì: una giornata per Dante Alighieri

15/2/2020

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Riconosciuta dagli studiosi come probabile data di inizio del viaggio del Sommo Poeta, dal prossimo anno il 25 marzo sarà festeggiato il Dantedì.
A partire dal 2021, anche Dante Alighieri avrà la sua giornata celebrativa: il 25 marzo di ogni anno il nostro Paese celebrerà il Sommo Poeta con una giornata nazionale dedicata alla sua memoria. Così ha deciso il Consiglio dei Ministri nella seduta di venerdì 17 gennaio, approvando la direttiva istitutiva del giorno per il Poeta, a seguito della mozione a mia prima firma votata all’unanimità dalla Camera dei Deputati lo scorso 5 novembre. 

A Dante è universalmente riconosciuto il merito di aver fondato una visione di umanità e di aver rappresentato un simbolo (probabilmente il principale) della cultura “italiana”, molto prima dell’unità politica dell’Italia stessa. Pare si contino, attualmente, ben 1.540 saggi su Dante, contro i 347 su Manzoni e i 331 su Leopardi, a dimostrazione di quanto Dante rappresenti, più di chiunque altro, la nostra identità civile, culturale, linguistica e letteraria, e di quanto fosse inspiegabile che il nostro Paese non avesse una giornata in cui celebrarlo e ricordarlo, facendolo rivivere nelle scuole, nelle università, nelle piazze, nei teatri e nelle biblioteche. 

A me piace immaginare che questa giornata possa essere vissuta proprio così: come un momento di festa, magari anche oltre i confini nazionali, attraverso gli istituti italiani di cultura all’estero. L’invito, insomma, non è solo a festeggiare Dante, ma, tramite lui, anche la nostra cultura e la nostra lingua, stimolandone la conoscenza, la lettura e la diffusione.

La proposta di istituire il “Dantedì” era stata lanciata dal giornalista Paolo Di Stefano sulle colonne del Corriere della Sera lo scorso 24 aprile, e aveva da subito raccolto un’adesione impressionante: studiosi, intellettuali, professori universitari, l’Accademia della Crusca, la Società Dante, la Società dantesca, l’Associazione degli italianisti, tutti uniti nel sottolineare l’importanza di fissare un momento per ribadire l’immenso contributo dato da Dante allo sviluppo della lingua italiana, alla storia politica e civile del nostro Paese. 

Forte di tale convergenza, lo scorso agosto mi sono attivato personalmente affinché, insieme con gli altri colleghi deputati, si presentasse e calendarizzasse una mozione d’Aula, che è il principale strumento di indirizzo politico in possesso del Parlamento, per impegnare il Governo a istituire il Dantedì. 

Il Ministero per i Beni e le attività culturali e per il turismo si è attivato fin da subito per interloquire con le varie associazioni e farle convergere su una data, in vista delle celebrazioni per i 700 anni dalla morte del Poeta che cadranno, appunto, nel 2021.

Il 25 marzo, riconosciuta dagli studiosi come probabile data di inizio del viaggio di Dante nell’Aldilà, ha prevalso sulle altre ipotesi in campo anche per la sua collocazione più felice all’interno del calendario scolastico. 

E', difatti, principalmente alle scuole e ai nostri ragazzi che questa giornata deve guardare. La recente pubblicazione dei dati dei test Invalsi ha infatti evidenziato delle criticità, soprattutto in alcune regione italiane, in merito alla comprensione dei testi da parte dei nostri studenti. 

È del resto proprio la lettura la base della comprensione e della conoscenza di Dante, e il nostro auspicio è che il Dantedì diventi occasione per far scoprire canti che normalmente non si studiano a scuola, diffondendone la conoscenza con incontri sul territorio, in scuole e in città di provincia, come proposto dal professor Serianni, ordinario di storia della lingua italiana a La Sapienza di Roma.

Ma la crisi profonda vissuta dalla nostra lingua va ben al di là delle mura scolastiche. Secondo il “Grande dizionario italiano dell’uso” di De Mauro, gli italiani hanno a disposizione circa 270.000 termini. Eppure, sempre secondo i linguisti, non ne usano più di 5mila. 

Se da un lato, quindi, il vocabolario si arricchisce costantemente, dall’altro nei discorsi quotidiani il 95-96% delle persone ricorre in media ad un intervallo tra le 5mila e le 7mila parole. Il rischio, a lungo termine, è quello di un ulteriore impoverimento del patrimonio lessicale del nostro Paese. 

Certamente l’importanza della riscoperta dei testi di Dante va al di là della ricchezza terminologica del suo vocabolario. In Dante le parole non hanno solo un significato letterale ma, come ci insegna Auerbach, anche uno simbolico che ci rivela la profondità e lo spessore del suo pensiero. 

Ecco perché la ricoperta di Dante può aiutare a riscoprire il senso critico, il ragionamento, la necessità di problematizzare la realtà complessa che ci circonda, in un momento storico che, invece, tende alla semplificazione delle idee e all’anoressia del pensiero. 

Sappiamo bene che per raggiungere questi ambiziosi obiettivi non basta, tuttavia, solo una ricorrenza. L’auspicio è che l’istituzione del Dantedì possa stimolare anche altre iniziative, volte a coinvolgere il più alto numero possibile di cittadini attraverso l’ausilio di strumenti mediatici e divulgativi. 

Con alcuni colleghi della Commissione Cultura della Camera, di cui faccio parte, stiamo pensando, ad esempio, alla possibilità, direi quasi imprescindibile, di una collaborazione con la Rai, per ripetere, con la Commedia di Dante, qualcosa di analogo alla lettura integrale dei 73 libri della Bibbia, che in una maratona di sette giorni e sei notti, nel 2008, raggiunse percentuali molto alte di spettatori: leggere in cento giorni i cento canti della Divina Commedia sarebbe un’operazione culturale di grande impatto e rilevanza!

La prima lettura si potrebbe fare proprio alla Camera dei Deputati, o al Quirinale, creando l’occasione ideale per dar seguito a un grande sogno che Dante, nel XXV canto del Paradiso confessa di serbare: quello di ricevere la corona di alloro. L’incoronazione è un’immagine fissa per Dante, destinata, tuttavia, a rimanere irrealizzata. 

Dopo una missione a Venezia, infatti, contrasse una febbre da malaria che lo portò alla morte nella notte tra il 13 e il 14 settembre del 1321. Svanì, quindi, con lui quel sogno e quell’usanza classica della concessione dell’alloro ai poeti meritevoli. Petrarca fu incoronato in Campidoglio nel 1341 nel corso di una cerimonia presieduta dal Re di Napoli, Roberto d’Angiò. 

Non ci fu mai, invece, per Dante, quel riconoscimento, e toccò a Boccaccio, trent’anni dopo la morte del poeta, recarsi a Ravenna e consegnare 10 fiorini d’oro alla figlia di Dante come segno di ricompensa e riparazione per i danni arrecati a Dante dai fiorentini. 

Quindi, sarebbe bello se proprio nell’Aula di Montecitorio, nel giorno dedicato a Dante, si potesse incoronarlo simbolicamente, magari proprio dando inizio, in quell’occasione, alla lettura integrale dei canti della sua Commedia. 

A cura dell’On. Michele Nitti.
© Gente in Movimento - riproduzione riservata

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