Attorno al termine Terra ci sono tanti significati più o meno evidenti: è il nostro pianeta che ci ospita, ma indica anche il suolo, ed è stata per millenni materiale da costruzione. È lo strato che ci dà la possibilità di vivere coltivando fiori, ortaggi e alberi, e per molti è una vera e propria divinità dotata di tangibili virtù taumaturgiche. |
Tra i materiali edili la comunissima “terra” rivela doti sconosciute (o dimenticate): è in grado di essere duratura nel tempo se posata e mantenuta a regola d’arte. Al tempo stesso riesce a dissolversi velocemente in natura e con facilità. Promuovere un’architettura della dissolvenza e/o biodegradabile significa trasformare la pesantezza della nostra impronta ecologica in un passo felpato felino (come quello dell’architetto giapponese Kengo Kuma).
La terra è il primo materiale da costruzione conosciuto e utilizzato, ed ancora oggi il 40% della popolazione mondiale vive in case di terra cruda. Grazie all’utilizzo di questo materiale si riesce a stabilire un nesso, un legame stretto con il territorio, creando una sintonia tra il paesaggio, l’ecosistema circostante e il microclima interno, limitando al massimo gli impatti irreversibili.
Con la terra cruda si possono fare sia muri portanti sia di tamponamento, cupole o volte, pavimenti o solai, intonaci o pitture. La parte argillosa funge da legante, mentre quella sabbiosa e pietrosa da inerte. Non esiste una casa in terra cruda uguale all’altra e, a seconda della località geografica, cambia il colore e la tessitura del manufatto edile. Anche strutturalmente la terra si adatta: se è ghiaiosa e magra di argilla si usa per il pisè; se è grassa e sabbiosa è perfetta per i mattoni crudi, mentre per la tecnica del torchis (con telaio ligneo) è più opportuno avvalersi di un humus più ricco e limoso.
L’uso della terra cruda non è limitato esclusivamente all’edilizia rurale: un esempio di qualche anno fa, che ha superato abbondantemente la prova di durabilità nel tempo, è rappresentato dal quartiere urbano “Domaine de la Terre”, a Villefontaine vicino a Lione, realizzato nel 1985: un intervento pilota moderno fra i più significativi sul fronte del rinnovamento della tecnologia costruttiva di questo materiale. E non si tratta dell'anacronistica casetta di qualche anarco-ambientalista rivoluzionario, ma di un vero e proprio quartiere di buona edilizia popolare, rappresentato da 12 gruppi di edifici. In questa realizzazione, sostenibile in tempi non sospetti, è stata data la giusta attenzione agli aspetti energetico-ambientali, adottando tecniche costruttive e materiali a basso contenuto di energia, riciclabili, dotati di un’alta inerzia termica ed esenti da sostanze nocive. La struttura d’insieme risultante ha mantenuto la sua coerenza nel tempo, aggiornandosi tramite le logiche aggiunte posteriori, ma sempre integrandosi nel verde circostante, grazie agli interventi spontanei ma consapevoli che si sono susseguiti nel tempo ad opera dei fruitori.
Il bello di questo quartiere è rappresentato, oltre che dai materiali e dalle tecnologie salubri adottate, anche dal fatto che, nell’attuazione di un programma di habitat sociale, i dodici gruppi di edifici sono stati progettati da diversi architetti, promuovendo una piacevole, stimolante e positiva sfida del confronto. Si tratta di una chiara dimostrazione di come i materiali aiutano il coinvolgimento emotivo e l’integrazione con il contesto: a distanza di anni il luogo nell’insieme non si presenta degradato, come normalmente ci si aspetta per un quartiere popolare. Qui il grigio e l’assenza di armonia formale ha lasciato il posto ad un ambiente vivo e animato, “preso in carica” dalla gente che ci abita e, proprio per questo, umanizzato.
L’Europa e l’Italia sono piene di case in terra cruda, sia nei centri cittadini sia nelle campagne, ma l’abbandono di questa tecnica costruttiva è iniziato dal secondo dopoguerra. Si è trattato di un distacco mentale volontario, di una rimozione da ricordi di sofferenza, povertà, guerra, paura, malattie. Allora si cercava un modo di abitare apparentemente più pratico e facilmente gestibile. A quest’allontanamento hanno sicuramente contribuito i numerosi, tecnici e moderni materiali edili. Tale affrancamento è stato determinante per cancellare la manualità collegata a questa tradizione edile e al suo disciplinare di manutenzione, andando a perdere dei frammenti importantissimi della nostra storia costruttiva. Dalla quotidianità domestica, la terra cruda è passata al laboratorio per essere studiata, iniziando così un processo d’innovazione delle tecniche collegate a questo materiale, con rapide evoluzioni su tutti i livelli, dall’estetico al funzionale. Tanto che l’utilizzo della terra cruda oggi, alla luce dei rinnovamenti tecnologici odierni, può rappresentare un diverso ed innovativo modo di costruire, dotato di performance prestazionali in campo energetico e di salubrità non indifferenti.
In definitiva: costruire in terra significa utilizzare materiali veramente a km zero e con un consumo di energia primaria ridotto, dal costo contenuto e dalla totale riciclabilità in fase di decostruzione dell’edificio.
A cura di Francesca Landriani