Conseguentemente, dal 2 gennaio 2018 le elusioni fiscali sull’imposta di registro devono essere precedute dal contraddittorio endoprocedimentale tra Amministrazione e contribuente.
Un nuovo importante passo per una più completa attuazione del principio del contraddittorio endoprocedimentale è stato compiuto dalla giurisprudenza della Corte di Cassazione a seguito dell’introduzione normativa disposta dal legislatore con la legge n. 205 del 2017.
Il Supremo Collegio, infatti, con l’ordinanza del 9 aprile 2018, n. 8619, depositata il 09 aprile 2018, ha ribadito che il contraddittorio endoprocedimentale previsto dall’art. 1, comma 87, lett. a), della l. 27 dicembre 2017, n. 205, norma entrata in vigore il 1° gennaio 2018 non è retroattiva.
I Supremi Giudici hanno spiegato, infatti, che “l’introduzione di nuovi limiti all’attività di riqualificazione giuridica della fattispecie dapprima non esistenti fa sì che alla succitata disposizione debba riconoscersi natura innovativa e non meramente interpretativa della disposizione previgente, ciò comportando che essa non potrà trovare nel presente giudizio[…]”.
Come noto, la questione giuridica relativa alla vigenza o meno nel nostro sistema giuridico nazionale di un obbligo generale di attivazione del contraddittorio endoprocedimentale con il contribuente, dal 2014 ad oggi, è stata oggetto di contrastanti orientamenti delle Sezioni Unite ripresi nella sentenza in esame (cfr., SS.UU. nn. 26635/2009, 26636/2009, 26638/2009, 19667/2014, 19668/2014 e 24823/2015) ed è stata recentemente trattata anche dalla Corte Costituzionale la quale, già nel 2015, si era pronunciata in senso favorevole alla presenza di un generale obbligo di attivazione del contraddittorio, conformemente a quanto affermato dalle Sezioni Unite nelle pronunce del 2014 e, successivamente, nel 2017, con le ordinanze n.187, 188 e 189 del 13 luglio 2017, dichiarava inammissibili i quesiti sollevati dalla Commissione tributaria regionale della Toscana, dalla Commissione tributaria provinciale di Siracusa e dalla Commissione tributaria regionale della Campania, non mutando quindi il quadro interpretativo sulla esistenza o meno di un obbligo generalizzato e non necessariamente codificato relativamente allo svolgimento del contraddittorio preventivo in ambito tributario.
Nel caso di specie il collegio di Piazza Cavour era chiamato a dirimere una controversia relativa ad un’elusione fiscale sull’imposta di registro da parte di società in accomandita semplice esercitante attività turistico-ricettiva senza però aver avviato il procedimento del contraddittorio; la misura era stata ritenuta illegittima in primo e secondo grado, ma non così in Cassazione.
La Commissione tributaria provinciale di Belluno accoglieva il ricorso della società contribuente la quale aveva eccepito diverse doglianze avverso l’avviso di liquidazione, con il quale l’Ufficio aveva recuperato le maggiori imposta di registro, ipotecaria e catastale ritenute dovute in ragione della riqualificazione, ex art. 20 del D.P.R. n. 131/1986, di una serie di atti negoziali tra loro collegati stante la mancata attivazione del contraddittorio con il contribuente.
La Commissione tributaria regionale del Veneto, con sentenza n. 423 dell’agosto 2015, confermava quanto statuito in primo grado ritenendo assorbente, sul piano procedimentale, che la riqualificazione dovesse rispettare il procedimento, con relativo obbligo di attivazione del contraddittorio, ex art. 37 bis del D.P.R. n. 600/1973.
Con l’unico motivo di ricorso l’Amministrazione finanziaria denuncia la violazione e/o falsa applicazione dell’art. 20 del D.P.R. n. 131/1986, anche in relazione all’art. 37 bis del D.P.R. n. 600/1973, ai sensi dell’art. 360, comma 1, n. 3, c.p.c., presupponendo la riqualificazione operata sulla base della citata norma la verifica della causa concreta dell’operazione negoziale, senza che occorra quindi un intento elusivo delle parti, trovando, invece, applicazione l’art. 37 bis, comma 4, del D.P.R. n. 600/1973 quale vigente al tempo dell’emanazione dell’avviso di liquidazione, con la previa instaurazione del contraddittorio endoprocedimentale, unicamente in tema di imposte dirette e riguardo ad atti o negozi, anche collegati tra loro, aventi finalità elusiva.
La Corte, in motivazione richiama sua giurisprudenza largamente prevalente secondo cui, “in tema d’imposta di registro, l’art. 20 del D.P.R. n. 131/1986 attribuisce preminente rilievo all’intrinseca natura ed agli effetti giuridici dell’atto rispetto al suo titolo ed alla sua forma apparente (cfr., ex multis, Cass. sez. 5, 24 novembre 2017, n. 28064; Cass. sez. 5, 12 maggio 2017, n. 11873; Cass. sez. 6-5, ord. 2 dicembre 2015, n. 24594; Cassazione sezione 5, 28 giugno 2013, n. 16345)”, sicché l’Amministrazione finanziaria può riqualificare come cessione di azienda la cessione totalitaria delle quote di una società senza essere tenuta a provare l’intento elusivo delle parti dalla natura di regola interpretativa e non antielusiva dell’art. 20 del testo unico sull’imposta di registro.
Di conseguenza la sua applicazione non è soggetta al contraddittorio endoprocedimentale previsto per l’utilizzazione delle disposizioni antielusive, quale appunto l’art. 37 bis, comma 4, del D.P.R. n. 600/1973, vigente al tempo dell’emanazione dell’atto impugnato, ed oggi abrogato nel contesto della nuova disciplina normativa dell’abuso del diritto ex artt. 10 bis della legge numero 212/2000.
Nonostante la recente e isolata pronuncia n. 2054 del 2017, la Corte rileva l’orientamento tradizionale di questa recentemente ribadito da Cass. sez. 5, 26 gennaio 2018, nn. 2007, 2008 e 2009, con cui si è avuto modo di prendere posizione anche in ordine alla sopravvenienza, in pendenza di lite, del nuovo testo dell’art. 20 del D.P.R. n. 131/1986, quale modificato dall’art. 1, comma 87, lett. a), della l. 27 dicembre 2017, n. 205, norma entrata in vigore il 1° gennaio 2018, secondo cui “l’imposta è applicata secondo la intrinseca
natura e gli effetti giuridici dell’atto presentato alla registrazione, anche se non vi corrisponda il titolo o la
forma apparente, sulla base degli elementi desumibili dall’atto medesimo, prescindendo da quelli extratestuali e dagli atti ad esso collegati, salvo quanto disposto dagli articoli successivi”.
Con le succitate pronunce si è, infatti, osservato che l’introduzione di nuovi limiti all’attività di riqualificazione giuridica della fattispecie dapprima non esistenti fa sì che alla succitata disposizione debba riconoscersi natura innovativa e non meramente interpretativa della disposizione previgente.
Conseguentemente, afferma la Corte, l’Amministrazione Finanziaria, solo dal 1° gennaio 2018, ove l’Amministrazione Finanziaria vorrà contestare al contribuente l’intento volto a conseguire un indebito vantaggio fiscale in ragione del collegamento di più negozi, dovrà previamente esperire il contraddittorio.
Tale soluzione, inoltre, risulta in linea con quanto affermato in materia di contraddittorio endoprocedimentale dalle Sezioni Unite (Cass. 9 dicembre 2015, n. 28423), secondo cui allo stato attuale della legislazione nazionale vigente, il previo espletamento del contraddittorio è richiesto nei soli casi in cui sia espressamente previsto a pena di nullità dell’atto, mentre l’Amministrazione è invece gravata
da un obbligo generale di contraddittorio endoprocedimentale in tema di tributi armonizzati, purché il contribuente abbia assolto all’onere di enunciare in concreto le ragioni che avrebbe potuto far valere e non abbia proposto un’opposizione meramente pretestuosa.
Nel caso di specie, pertanto, stante il riconoscimento del suo carattere innovativo, tale disposizione non può trovare nel giudizio portato davanti alla Suprema Corte poiché relativo ad avviso di liquidazione relativo alla riqualificazione di atti registrati nel 2009, prima quindi dell’entrata in vigore della norma dibattuta.
A cura dell’Avvocato Alberto Nico.